venerdì 21 dicembre 2018

Il presepe dell'oratorio

Cosa sia un presepe lo si imparano inverno dopo inverno durante i primi anni di vita. Mi ricordo ancora dell'emozione di quando la mamma ci portava in solaio (il luogo più statico e oscuro della casa) per prendere gli scatoloni contenti albero e presepe. Arrivati in sala si cominciava a rivoltare lo scatolone (rigorosamente per terra) e a prendere in mano gli stessi identici omaccini dell'anno prima per capire il loro (solito) ruolo, dove posizionarli (tanta fatica per poi trovarli costantemente sdraiati in orizzontale al primo traballio del tavolo)... 
Ogni tanto arrivava in mano un ppersonaggio "speciale": l'angelo che anche quest'anno avrebbe aleggiato sulla capanna, l'asino che avrebbe scaldato l'ambiente assieme al suo amico, i magi da allontanare perché i loro turno era l'ultimo degli ultimi, Maria e Giuseppe sempre in ginocchio davanti a una mangiatoia ancora vuota, Gesù che doveva essere nascosto perché la sua doveva essere l'entrata in scena più importante.
E così che dicembre dopo dicembre prendeva vita il presepe di casa mia.
Ma non mi ero accorto che ogni anno c'è un presepe che prende vita in ogni aspetto della mia vita, compreso l'oratorio. Già perché sono tanti i personaggi che vi rientrano e che lo anima affinché diventi casa di incontro per Dio e per l'uomo. Come? Nelle cose semplici di tutti i giorni, quelle normali come  nella nascita di un bambino. Natale (dice padre Ermes Ronchi) è la vita di Dio che entra nell'uomo. E l'oratorio non ha forse questo intento? Non è quel modo di stare insieme che crea i presupposti per sentirsi di nuovo creatura amata dal suo Creatore, grazie alle cure che in diversi modi si mettono in campo per i più giovani? 
Ecco allora che sono grato di essermi accorto del presepe che c'è in oratorio, nei nostri oratori, e la gratitudine è data anche dal sentirmi uno dei personaggi che lo arricchisce, che lo presente oggi qui ancora. Che bello sarebbe riuscire a cogliere l'oratorio come un'occasione per fare esplodere il Vangelo!

"Se coi catechismi si piantano i semi dell'educazione religiosa, questi medesimi hanno bisogno di molte cure perché giungano a mettere buoni frutti" 
(don Antonio Riccardi, 1831)

Buona Natale a tutti!




Ciri

lunedì 17 dicembre 2018

San Bartolomeo: un esperimento di comunità

Quest’anno è iniziata una nuova esperienza a San Bartolomeo! Dal 27 ottobre, ogni sabato di catechismo, a fine incontro, i bambini si fermano fino alle 18 per giocare insieme e dare ancora più vita a quella esperienza di oratorio che stiamo cercando di costruire all’interno dell’unità pastorale.

In questo piccolo spazio in cui una ventina di bambini possono divertirsi ed educarsi allo stare insieme, riusciamo inoltre ad assistere ad una bella esperienza di integrazione tra le nostre parrocchie: a seguire i bambini sono infatti Alex (il sottoscritto) di Regina Pacis e Andrea di Roncina, due educatori che hanno deciso di uscire fuori dal nido parrocchiale per mettere le mani in pasta in una realtà concreta di unità pastorale.

Questo è solo un ramo nuovo di un più esteso progetto di oratorio e speriamo che, col tempo, possa crescere a livello di persone coinvolte e a livello di esperienze vissute. Attraverso gli oratori, infatti, si desidera tessere e ritessere il tessuto di comunità, tessuto fatto di relazioni dentro un cammino di discepolato. Gli abitanti di Codemondo e di San Bartolomeo, negli spazi parrocchiali di quest’ultimo, con la loro presenza al progetto oratori ci stanno dicendo che c’è voglia di comunità. Ricordiamo che oltre a come detto sopra il progetto prevede le aperture del martedì e del venerdì pomeriggio per i ragazzi delle elementari e medie che grazie all’energia degli animatori (ragazzi delle superiori sempre più numerosi) imparano a stare insieme da fratelli sia nelle cose più piacevoli quali il gioco sia in quelle più serie e impegnative quali lo studio e le riflessioni. Da notare che ogni due settimane al venerdì c'è un gruppo di ragazzini di IV e V elementare che fanno catechismo e il bello è dato dal fatto che oratorio e catechismo sono due realtà in dialogo, infatti la merenda è condivisa e qualcuno di quelli del catechismo ha cominciato a venire a vivere l'oratorio già dalla sua apertura anziché aspettare le 16.30.
Inoltre al mercoledì pomeriggio c’è uno spazio dedicato ai bambini della materna seguiti da due mamme, Chiara e Silvia, che sono riuscite addirittura a farli esibire in qualche canto di Natale lo scorso martedì davanti a una platea di genitori, nonni e zii. 

Insomma non si può dire che quest’anno a San Bartolomeo ci si riesca ad annoiare!

Alex Morini

venerdì 16 novembre 2018

Oratorio, cantiere fra cielo e terra

Come è bello vedere gli oratori pieni. Pieni di ragazzi, di animatori, di volontari adulti, di persone. Pieni di suoni (talvolta fastidiosi, talvolta festosi), di colori, di attività diverse ma che parlano lo stesso linguaggio, quello della comunione, lo spirito dello stare insieme. Pieni di fiducia, di amicizie, di litigi e di incomprensioni, ma anche di perdono e di dialogo.
Non parlo solo di uno ma di tutti gli oratori della nostra UP, che nonostante ognuno mantenga le proprie peculiarità si stanno tutti contaminando di relazioni sempre più approfondite e sempre più mescolate.
Abbiamo da poco ripreso a dire una delle preghiere universali che ci fanno iniziare col piede giusto ogni pomeriggio: vedere la voglia di pregare di questi ragazzi provenienti da diverse estrazioni sociali e da diverse culture è per me motivo di gratitudine nei confronti del Padre perché conferma l'oratorio come uno strumento vero e concreto di pastorale. Sentire che insieme invochiamo la capacità di essere strumenti della pace di Dio, quando insieme inneggiamo alla vita con le parole di madre Teresa o chiedere che su noi scenda lo spirito di santità non è roba da bigotti e ovviamente non è nemmeno solamente un oratorio che fa opere sociali.
Credo che questo sia un piccolo cantiere di quella chiesa che tanto auspica il Signore, oggi in particolare nelle parole e opere di papa Francesco. Una chiesa così tanto con-fusa nella quotidianità, nell'umanità, nell'ordinarietà da non poter che essere segno di qualcosa in più, di un cielo che non è vuoto. Ho usato appositamente il verbo con-fondere per ragionare non su un evento di caos ma di fusione: fondere cielo e terra è stato ed è tutt'ora l'opera di Cristo che tanto ha amato al mondo da giocarsi fino in fondo, ad ogni costo. Ma più che un costo penso si sia trattato di un investimento a vedere ad esempio nel mio piccolo così tanto fermento nei nostri oratori. Un'investimento di evangelizzazione fatto forse (FORSE) più di gesti che di parole, fatto certamente più di esperienza che di nozionismo, fatto più di processi che si sviluppano nel tempo che in lezioni che occupano uno spazio.
Credo in una chiesa prossima a chiunque le si faccia vicino ma anche che vada a stanare gli abissi che vi sono nell'animo umano. L'oratorio fa questo? In parte e con i suoi mezzi lo fa che ci si creda oppure no. Ovviamente per vedere occorre credere: questa è la chiave di lettura del vangelo di Giovanni, quel libro che quest'anno la nostra diocesi ha proposto come guida alla pastorale, in particolare nella sua seconda metà: il libro della gloria pienamente rivelata. L'oratorio certamente vive di più secondo il libro dei segni (la prima parte del vangelo giovanneo) in cui il Signore si rivela appunto per segni che introducono a qualcosa di più grande, di più profondo, di più nostalgico, di più. L'oratorio lo fa mettendo in gioco le persone. Pensiamo ad esempio al labOratorio di chitarra o a quelli di teatro che in alcuni dei nostri oratori hanno iniziato il proprio percorso. L'oratorio insegna, attraverso i linguaggi dell'animazione, che ogni uomo non è chiamato a vivere per dar gloria a se stesso ma a generare comunione.
L'oratorio è l'unico strumento per educare le giovani generazioni? Assolutamente no. Eppure credendoci di più può fecondare e portare molto frutto nel tempo.






giovedì 25 ottobre 2018

Oratori invernali 2018-2019

Ciao a tutti!
Da tre settimane abbiamo iniziato a riabitare gli oratori della nostra UP cercando sempre di vivere le relazioni che si creano secondo lo stile del Regno di cui Gesù ha tanto vissuto oltre che tanto parlato. Non semplice ma occorre puntare in alto, e i frutti si vedono.

Come impostazione abbiamo cercato di mantenere quella degli altri anni cercando di aumentare la presenza la dove si è potuto, ad esempio al sabato dopo il catechismo a San Bartolomeo grazie alla disponibilità di Alex e Terenz (due nomi che suonerebbero bene in una serie tv degli anni 90 fra l'altro).

Al di là delle battute partire non è facile anche perché non possiamo fare affidamento ad altri giovani che sarebbero potuti saltare sulla barca grazie all'anno di vita comunitaria a Codemondo: siamo in meno giovani-adulti e ben frammentati.

D'altro canto un fenomeno positivo di cui già l'anno scorso stava emergendo è dato da quei ragazzi delle medie e primi anni delle superiori che abitano nei nostri territori (in particolare zona Regina Pacis) che coi loro ritmi, i loto carismi, le loro competenze si stanno lanciano nel servizio ai più piccoli chi affiancandoli nei compiti chi nel gioco. A Roncina stiamo cercando di capire come inserire i ragazzi di III media che vorrebbero rendersi utili: la cosa positivaè che l'estate ci ha fatto sperimentare (come scritto in un post) la figura dei raganimatori, ovvero quei preadolescenti che non sono ancora animatori ma nemmeno più ragazzini, quelli che ancora si divertono a giocare e fare i laboratori ma che allo stesso tempo desiderano contribuire alla conduzione del grest. Ci stiamo ragionando su come fare questa proposta: bello!

Ci sono anche adolescenti che dopo un bel servizio di animatori al grest stanno dando disponibilità anche durante la ferialità, anche attraverso la conduzione di alcune LabOratori (come quello di fotografia e di teatro) che partiranno fra poche settimane (iscrivetevi!).

Bellissime anche le collaborazioni con gli adulti, sia quelli che da anni sono dentro al progetto sia i nuovi che arrivano talvolta con nuove idee. Queste per me sono benedizioni e segno di generatività (si scrive così?), cioè segno di comunità che iniziano a vedere che c'è del bello e del buono in oratorio e che si sentono chiamate a renderlo ulteriormente bello e buono.

Nonostante ciò bisogna anche dire che ci sarebbe bisogno di più persone che nel loro piccolo e secondo il proprio carisma potessero mettersi in gioco, e questo in tutti gli oratori. In alcune parrocchie mancano adulti, in altre adolescenti, in altre giovani. Tutte vanno avanti con ritmi e velocità differenti come differenti sono gli oratori, e questo è un bene.

Quest'anno l'idea è di farci accompagnare da una figura che dell'oratorio è stato un padre: san Filippo Neri. Cercheremo di riflettere sui messaggi che ha mandato a suo tempo e che possono essere utili per il nostro e lavoreremo sulla sua figura nello specifico attraverso un film (da guardare più avanti quando la stagione è davvero brutta e fredda).

Ecco un pochino le idee in cantiere che stanno gravitando attorno al progetto invernale degli oratori. Come avrete visto ci sono locandine che girano sui telefoni, su facebook oppure che potete vedere appese alla bacheche: non solo per pubblicizzare ma soprattutto per ricordarci che l'oratorio è roba di comunità, che nel piccolo o nel grande riguarda tutti perché - come dice don Michele Falabretti, incaricato nazionale di pastorale giovanile - l'oratorio è una medicina per prendersi cura delle giovani generazioni del proprio territorio.

Concludo dicendo che nella locandina marrone troverete cose che sono partite, altre che partiranno, alcune che non siamo sicuri di riuscire a far partire nei tempi pensati...vorrei che qualcuno mi chiamasse (come sta succedendo, poco ma sta succedendo) per qualcosa che ancora non c'è scritto, da scrivere insieme, da far vivere insieme.





giovedì 4 ottobre 2018

Il sinodo a un anno dal sinodo

Che il Signore vi dia pace!
Con questa sollecitazione presa direttamente dal santo del giorno, san Francesco d'Assisi, vorrei aprire questo articolo.
Come saprete, da ieri ha avuto avvio il lavoro del Sinodo dei vescovi che ha per tema i giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Se ben ricordate il 30 settembre e 1 ottobre 2017 avevamo vissuto il Sinodo sugli oratori della nostra UP. A distanza di un anno mi volto indietro a riconosco alcuni passaggi che si sono fatti

  • la stesura di una Carta del Sinodo
  • la scrittura del Progetto Educativo degli oratori 
  • tanti volti di tante età incontrate in oratorio 
  • un approfondimento di alcune tematiche attraverso il blog
  • la formazione di una Equipe Oratori
  • la riaffermazione dei Consigli di Oratorio
  • il cammino nella casa della Missione km 0
  • nuovi labOratori creatisi dalla fantasia, carisma e disponibilità di alcuni fra voi
  • esperienze estive diversificate e significative
  • i calendari e le felpe
Più ci penso e più me ne verrebbero. Questo è segno di una cosa: non ci siamo seduti, siamo in cammino (a volte di corsa). Il nostro sinodo era preludio per quello che adesso stanno vivendo i vescovi: un'anticipazione di una riflessione sul mondo giovanile a diversi livelli e stadi di crescita che aiuta tutti a essere Chiesa in uscita.

"Prendersi cura dei giovani non è un compito facoltativo per la Chiesa, ma parte sostanziale della sua vocazione e della sua missione nella storia. È questo in radice l’ambito specifico del prossimo Sinodo: come il Signore Gesù ha camminato con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35), anche la Chiesa è invitata ad accompagnare tutti i giovani, nessuno escluso, verso la gioia dell’amore." [Instrumentum Laboris per il Sinodo dei vescovi]


Queste righe sono le prima che si incontrano leggendo l'introduzione dello strumento di lavoro che è arrivato nelle mani di tutti coloro che hanno responsabilità pastorale in campo giovanile (diffuso in un lungo e in largo, tanto da poterlo ricevere anche il sottoscritto). Accompagnare i giovani verso la gioia e l'amore. Essere Chiesa aderente alla vita dei ragazzi e fedele al Vangelo. Come progetto oratori penso che l'anno scorso sia stato fatto un investimento notevole per avviare una diffusione dello stile di oratorio che potesse permeare anche le case dei nostri territori. Quest'anno il desiderio è quello di incontrare le comunità per poter vivere quanto ad esempio scritto sul Progetto Educativo. Era stato pensato un pieghevole proprio per essere tascabile, per arrivare sulle tavole delle case. Una brochure dove non c'era scritto tutto nel dettaglio ma alcuni punti non trascurabili. Un avvio, non un arrivo. Se l'anno scorso abbiamo investito nella progettazione direi che è giunto il periodo della co-progettazione con le parrocchie al fine di rendere vivo ciò che lo Spirito ci ha suggerito. Insomma non è roba banale l'oratorio.
Forse vi aspettavate l'articolo sull'inizio del progetto invernale come vi avevo promesso. Forse non vi aspettavate proprio niente. Forse non leggerai mai queste righe. Non importa: io devo scriverle e scrivendole so che il Signore raggiunge alcuni di voi: me lo avete dimostrato nel corso di questi anni e vi ringrazio. Sentitevi tutti chiamati in causa, una bella causa, quella di accompagnare i giovani verso la gioia e verso l'amore. Giovanni lo direbbe con una parola: Dio.

In conclusione vorrei stimolarci a pregare quotidianamente per il Sinodo sui giovani, affinché i padri sinodali possano essere strumenti di quel soffio dello Spirito che rende nuove tutte le cose.

PS: andate a rileggere gli articoli sul sinodo sugli oratori...li trovate un pò più indietro sempre su questo blog!

lunedì 1 ottobre 2018

Compigrest 2018

Ciao a tutti!
Sta per ripartire il progetto invernale degli oratori (di cui già da domani potrete leggere l'articolo se tutto va bene) ma non si può riprendere senza prima esserci detti come sono andati i CompiGrest di settembre a San Bartolomeo e a Regina Pacis.
Il tema, da entrambe le parti, è stato l'Esodo, ovvero la storia di Mosè dalla sua nascita fino al passaggio del Mar Rosso, la pasqua ebraica, il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Quante volte anche noi siamo schiavi di gabbie invisibili fatte di egoismo, di individualismo, di utilità, di massimizzazione e razionalizzazione delle risorse fisiche e psichiche e ci dimentichiamo che solo il seme che caduto in terra muore produce molto frutto. 
Siccome il tempo che ho è quello che è in questi giorni e siccome per la prima volta al CompiGrest avevamo scritto e stampato un libretto con le riflessioni ho pensato bene di inserirle in questo articolo. Sì, è vero, sarà molto lungo come articolo ma è possibile anche leggerlo giorno per giorno: è uno strumento a vostro e nostra disposizione. Quello che andrete a leggere saranno però solo le riflessioni a parole mentre mancheranno tutte le parti introduttive coi testi biblici e le attivazioni che hanno reso le riflessioni accattivanti e ricordabili da parte dei ragazzi.
Buona lettura e buona meditazione a tutti.

Giorno I - salvato dalle acque.
Mosè è il protagonista della nostra storia e il suo nome sembra significhi “salvato dalle acque”. Era ebreo e per gli ebrei l’acqua, il mare, rappresenta le paure perché è qualcosa di instabile, inconsistente, non regge il tuo peso, ti fa sprofondare. Al tempo gli ebrei erano diventati schiavi in Egitto e la paura delle percosse e della morte era roba di tutti i giorni. Il faraone, nemico numero uno, vuole fare uccidere tutti i neonati maschi così tener ancora più sotto scacco il popolo ebreo. Tuttavia ciò che capita sfugge al suo controllo: Dio infatti spesso usa gli emarginati, gli scartati della società per fare cose grandi con lui. Questa è la storia di Mosé e di un popolo che desidera essere di nuovo libero.

Giorno II - coscienza sepolta: l'indifferenza.
Che strano destino quello del piccolo Mosé: tutti lo vogliono! Eppure doveva morire per ordine del faraone come tutti i bambini appena nati del popolo ebreo. E non solo sopravvive, ma va addirittura a vivere nel palazzo del faraone stesso. Mosé diventa, con il trascorrere del tempo, un giovane molto importante in Egitto. Ma lo sa o non lo sa di essere in realtà un ebreo? Di appartenere a un popolo che è reso schiavo dal padrone di casa?

Giorno III - coscienza risvegliata: sentire il grido di chi soffre.
Mosé scopre la verità su se stesso: è un figlio del popolo schiavo. Questo sembra aprirgli il cuore, e con un cuore nuovo riesce a vedere e sentire il dolore di tanti schiavi che non avevano fatto nulla di male per meritarsi una vita così brutta. Guidato da un proposito di giustizia compie una violenza, e la violenza non è gradita al Signore. La violenza ti fa nemico e dopo devi guardarti le spalle perché qualcuno non si vendichi. La paura di morire adesso permea anche l’esistenza del giovane Mosé.

Giorno IV - fuggire l'ingiustizia e la menzogna.
Mosé è costretto a fuggire. Sono tanti oggi quelli che vediamo fuggire dai loro paesi per via della guerra e di altre violenze. Mosé capisce che la violenza chiama altra violenza anche se usata per fare giustizia. Non è lui il padrone della vita degli altri. Si riscatta capendo i giusti modi: prende le difese di alcune fanciulle maltrattate da alcuni pastori ma senza usare violenza. Mosé è dovuto fuggire dalla casa del faraone e dalle sua mentalità fatta di piacere, di ricchezza e di agi. Trova accoglienza e famiglia presso un sacerdote ebreo, a Madian: ecco la ricompensa di chi agisce secondo il cuore e non secondo il proprio interesse.
Giorno V - umiltà: la via per una nuova vita.
Dal palazzo del faraone alla tenda del sacerdote la differenza è notevole. Attraverso l’umiliazione, Mosé scoprirà la grandezza della mitezza, la bellezza dell’umiltà. Nel frattempo il vecchio faraone muore e Dio sente il grido del popolo e se ne dà pensiero. Dio agisce sempre per il bene, mai per il male. Quello descritto è un Dio che ascolta, ricorda, guarda e non prende sonno per prendersi cura di te. Occorre essere molto umili per sentirsi amati follemente da Dio.

Giorno VI - incontrare Dio: riconoscere i suoi passaggi.
Dio incontra Mosè mentre pascola il gregge, mentre sta svolgendo il lavoro con umiltà, mentre si prende cura di quelle creature. Il pastore ha il compito di portare ai pascoli le bestie, ovvero di portar loro il cibo necessario. Dio accorcia le distanze e irrompe nella vita di Mosè attraverso un segno: un roveto che brucia ma non si consuma. Cosa è nella nostra vita qualcosa che brucia ma non si consuma? L’amore vero! Brucia ma non si consuma. Dio incontra Mosè, gli parla e gli da una missione, e che missione: andare dal faraone in persona e far liberare Israele dalla schiavitù. Ma ve lo immaginate? Un pastore che per giunta è ricercato che va a chiedere una cosa simile al re? Roba da matti! Eppure Dio non scherza e rassicura Mosè di una cosa: che potrà sempre contare su di Lui. Dio è più forte del faraone? Staremo a vedere.

Giorno VII - promessa di una vita con la giusta dignità.
Dio è Dio della vita e della vita in abbondanza. Non sogna per i suoi figli una vita mediocre e tanto meno una vita da schiavi, ma una vita in pienezza! Dio ti promette che se ti affiderai a Lui e solo a Lui farete grandi cose insieme e ne uscirà una vita stupenda! Dio stesso si pone come avversario del faraone, è Lui che conduce la battaglia, è Lui che si prende cura del suo popolo!

Giorno VIII - gli idoli del faraone.
Se non segui Dio, allora segui degli idoli. Proprio in questo consiste la peggiore delle schiavitù: perdere la vita per cose di poco valore. Gli idoli, infatti, chiedono a te dei sacrifici. Dio invece si sacrifica per te. La differenza è notevole. Idoli di oggi sono l’individualismo e l’egoismo (cioè pensare di essere l’unico al mondo attorno al quale ruota tutto il resto), sono i "ladri del tempo" (come quando per vedere solo un video su youtube finisci per perderci delle ore senza combinare nulla nella tua vita reale), le scommesse, …Tutte prima o poi ti presentano il conto e il conto è salato. Dio invece è disposto a pagare il prezzo più alto per te perché sei suo figlio e sei prezioso ai suoi occhi. Chi scegli allora: gli idoli del faraone o il Dio della vita?

Giorno IX - faraone vs Jhvh
Jhvh ha finito la sua pazienza nei confronti del faraone e scende in campo per vincere la battaglia. Dio fa cose nuove e rende nuove tutte le cose, mentre il faraone non sa creare qualcosa, mai, sa solo storpiare quanto fa Dio. Ciò che sembra forte agli occhi degli uomini è debole al cospetto di Dio che sceglie di ripartire sempre dai piccoli, dagli umili, dai disponibili. Occorre credere! Tu che fai: credi o stenti?

Giorno X - credere per vedere (e non vedere per credere)
È come una partita vinta al 90esimo! Jhvh vince sul faraone, il popolo è salvo! Mosè è stato il primo a vedere che la vittoria era possibile perché ha molto creduto in Dio che gli stava promettendo molto di più! Tante volte si sente dire dalla gente un detto: “Vedere per credere”. Quella però è la logica del faraone, di chi non si fida, di chi controlla tutto e tutti. La logica della fede invece ti spinge prima a credere per poter vedere quello che vede Dio! Se credi vedrai che Dio è sempre al tuo fianco, lo è sempre stato e lo sarà per sempre. È Lui che ti libera dalle schiavitù per renderti un suo libero figlio! Credi e sii nella gioia!

domenica 16 settembre 2018

Oratorio noi ci crediamo

"Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede."  (Lc 10,1-7)

Ciao a tutti!
Quanto le nostre comunità credono al progetto oratori ce lo dice il numero di persona che si stanno già dedicando ad esso. Una delle cose più belle è che un numero sempre maggiore di adolescenti stia iniziando a simpatizzare per l'oratorio mettendo a disposizione un po' di tempo o un po' dei suoi talenti.
Se vi scrivo però è per dirvi che abbiamo bisogno un po' tutti di tutti perché l'oratorio è casa di comunità per cui è cosa di comunità. Il gioco di parole ci deve aiutare ad entrare in questa logica di dono vicendevole.
A metà ottobre ripartirà il progetto degli oratori invernali ma ho davvero bisogno di qualche mano in più perché da solo non posso far nulla. Nella locandina (che forse non si vede benissimo, ma che sta girando anche via cellulare) ritrovate alcuni spunti con alcuni giorni (ufficiosi per il momento).
Vi chiedo di contattarmi via email (ciri46@hotmail.it) che leggerò tornato dal viaggio di nozze (in ritardo) che farò dal 18 al 26 settembre (periodo in cui sarò irreperibile, eheh). Passate parole, aiutatemi a trovare operai per la messa, perché essa è molto molto abbondante e lavorare insieme è essere Chiesa, è vivere la gioia di veder crescere i nostri ragazzi passo dopo passo, con fatica e devozione, sui solchi del Maestro.

Grazie di cuore!

sabato 15 settembre 2018

Modelli di oratorio: i criteri - FOI/4

Stile è il modo con cui guardiamo l'oratorio, con cui pensiamo l'oratorio, il perché facciamo l'oratorio, il come viviamo l'oratorio.
Esistono sei criteri per discernere la progettazione in oratorio fatto ciascuno di due polarità (una tensione fra due aspetti). Queste polarità ci permettono di parlare lo stesso linguaggio mantenendo al tempo stesso ognuno la propria specificità. A volte abbiamo gli elementi ma non la sintonia fra essi (come cuocere la pasta buttandola nell'acqua prima di farla bollire come fanno all'estero).
  1. Ispirazione. L'ispirazione non è la mia ma è il soffio dello Spirito, è il Vangelo: non è banale chiederci se i nostri oratori sono ispirati da Lui. Il mio oratorio è una vela che si lascia gonfiare dal soffio del suo spirito oppure apriamo gli oratori con la vela chiusa? L'ispirazione non ce la inventiamo noi. C'è una dimensione spirituale fortissima. L'ispirazione sta nell'educazione e nell'evangelizzazione. Gli oratori non nascono da noi ma da una domanda che lo Spirito presenta a noi, una domanda che intercetta la domanda dei ragazzi. La questione è sugli appelli, ovvero sulla domanda che la vita di quel ragazzo pone a me, e non tanto quella domanda che io pongo su di lui. L'educazione va con l'evangelizzazione perché non possiamo pensare l'una senza l'altra. Vado in oratorio ad annunciare il Vangelo ma stando attento alla realtà di quel territorio, cercando di fare un passo alla volta, con gradualità. Senza ispirazione l'oratorio diventa sterile perché è lo Spirito che rende feconda la Chiesa. 
  2. Dedizione. Quali sono le vele che si gonfiano? Chi fa l'azione educativa? Chi è che oggi si consegna, si dedica all'oratorio oggi? Chi si fa toccare da quell'ispirazione? Non vi è solo l'iniziativa laicale né solo quella religiosa: queste due polarità devono combinarsi insieme. I sacerdoti devono vivere l'oratorio, i laici devono vivere l'oratorio. La gratuità rimane sempre anche nel servizio degli educatori professionali. Vi sono educatori professionali che hanno dedizione e ci sono volontari che non ce l'hanno: la dedizione è qualcosa di più profondo del compenso. Il contrario di questo è l'oratorio fungo, l'oratorio estemporaneo: si riempie d'estate e poi svanisce perché mancano figure dedicate.
  3. Sguardi. Chi ci sta in oratorio? Gli oratori nascono per le giovani generazioni per cui bisogna stare attenti che non diventino l'allargamento dei giardini dell'infanzia per le famiglie, ad esempio. Se l'oratorio non è per le giovani generazioni non è oratorio. Fin dove noi pensiamo l'oratorio? Lo sguardo fin dove si spinge? È possibile pensare un oratorio per gli over18? Sì, ma non devo far fare ai giovani quello che faccio fare ai bimbi, e non faccio fare a tutti i giovani gli animatori ed educatori, ma rispetto i carismi di ciascuno. È possibile costruire comunità. Ad esempio la sala studio per gli universitari con il wifi gratuito: esiste. E lì possiamo incontrarli. Esistono anche ragazzi che non vediamo quasi mai: disabili e malati. Spesso a questi ci pensano i servizi pubblici e noi li portiamo a messa la domenica tutt'al più. Poi c'è la questione della intergenerazionalità: una comunità attenta ai giovani, che abita l'esperienza dell'oratorio e non si accontenta di avere spazi aperti e un educatore o un religioso in gamba. Il contrario è un oratorio che ha uno sguardo a categorie è un oratorio miope.
  4. Metodo. Linguaggi della fede e linguaggi per la fede. Purtroppo abbiamo oratori in cui vi sono educatori che non pregano e non fanno pregare, non annunciano il Vangelo in nome di un “laicismo” insipido. Noi impariamo dalla vita dei ragazzi e vediamo dei tratti del Vangelo nelle loro vite, nelle loro parole: da un lato li evangelizziamo e dall'altra ci evangelizzano, e la Bibbia è piena di stranieri e piccoli che insegnano a Israele qualcosa su Dio. Il Vangelo è oltre la nostra testa, oltre i nostri schemi: occorre mettersi in ascolto per entrare nella vita. Il metodo dell'oratorio non è aver tutto preparato ma è anche imparare dai ragazzi e per imparare ci vuole tempo. Gesù ha predicato per 3 anni ma per 30 ha imparato a diventare uomo. Spesso non possiamo partire dal kerigma ma dobbiamo metterci al fianco di ragazzi per accompagnarli.
  5. Proposte. La proposta sta fra le attività e il luogo-struttura. I ragazzi si ricordano delle cose fatte in oratorio, delle esperienze vissute in oratorio. Non è solo una proposta ma è anche un luogo di appartenenza perché l'oratorio è casa delle relazioni dove vivere un tempo di informalità, dove si passa di lì senza dove per forza avere sempre un obiettivo specifico. Ci sono oratori troppi impostati sulle attività e ce ne sono altri sempre aperti ma che non fanno proposte. L'oratorio che non crea appartenenza è un oratorio irrilevante: quanta gente passa dai nostri oratori, consuma e va?
  6. Orizzonti. A cosa guarda l'oratorio sta fra la vita ecclesiale e la testimonianza nel mondo. Da un lato vorremmo che i ragazzi crescano come discepoli ma dobbiamo chiederci come devono crescere nella comunità cristiana. Alcuni devono imparare a vivere nel mondo un servizio: nel mondo politico ad esempio. Non dobbiamo accompagnare i giovani solo perché un domani potrebbero diventare catechisti ed educatori ma per mandarli nel mondo (anche se certamente d alcuni sarà importante fare proposte di servizio in oratorio). Dunque occorre avere oratori con uno sguardo sul futuro, che siano esercizio di futuro. Se non c'è questo orizzonte siamo di fronte all'oratorio voliera, in cui per quanto grande sia la voliera prima o poi ci si scontra con la gabbia.

La croce è ispirazione e sotto di essa vi erano figure dedicate: Maria, le donne e Giovanni. Quel giorno Pietro non era sceso a fare oratorio. L'augurio è di fare oratorio sotto la croce: un volto amato uno per volta, uno a uno: dedizione che nasce da ispirazione.

don Luca Ramello
direttore pastorale giovanile di Torino e di Piemonte e Valle d'Aosta

venerdì 14 settembre 2018

Credere, fare, discernere e scegliere - FOI/3

Spesso si pensa che sia superfluo progettare nella mentalità media anche della Chiesa. E chi materialmente progetta? Non è roba di una gerarchia illuminata ma dobbiamo recuperare una ecclesialità. La pastorale o è progettuale o non è pastorale.

"Per chi e perché devo progettare" dovrebbe essere la prima domanda cercando di passare da una pastorale di trasmissione della fede a una pastorale della relazione umana. Mi interessa incontrarti perché esisti e sei uomo come me, ancora prima che per trasmetterti il Vangelo. Non perché il Vangelo sia meno importante ma proprio perché per trasmetterlo devo comprendere che oggi c'è una grande richiesta di relazione da parte dei giovani da tutti i sondaggi che sono stati fatti. Le nostre comunità sono attrezzate per dare vita a un oratorio? Ma, ancor di più, hanno voglia di dar vita a questo, di star vicino ai giovani?
In altre parole, è bene farsi tre domande:
  1. le nostre comunità sono sufficientemente attrezzate per dare vita oggi ad un oratorio e di quali strumenti hanno bisogno per poterlo fare?
  2. Ma ancora di più: hanno voglia, motivazione, energia sufficiente?
  3. E noi cosa possiamo fare per sostenere l'avventura dell'oratorio nelle nostre comunità?

Fare oratorio è più di un'offerta pedagogica qualificata. Che tipo di relazione educativa chiede Gesù ai suoi discepoli? Non una relazione di aiuto sociale. “Lasciate” dice Gesù ai suoi discepoli quando cercano di zittire dei bambini (Mt 19, 13-15). I giovani scappano da comunità paternaliste. Gesù chiede di imparare dai bambini: li indica come coloro che possiedono il regno. Come educatore, come animatore, ti stai educando al regno e non stai solo facendo una buona azione per quei ragazzi. L'azione educativa dell'oratorio deve essere letta e vissuta come evento spirituale e non come funzione sociale: per noi è fondamentale stare in relazione coi piccoli.

La pastorale è la cura: la pastorale dei volti. Cosa significa prendersi cura di te per quello che sei oggi? E a quali condizioni si può vivere una pastorale del genere? Occorre recuperare il senso del discernimento. L'ascolto è prioritario, e dunque prioritario diventa di conseguenza anche l'incontro. Gli incontri che proponiamo sono davvero esperienze di incontro oppure sono solo riunioni? La progettazione educativa è l'esercizio ecclesiale che ci permette di vivere il discernimento educativo.
Credere, fare, discernere e scegliere sono le quattro mosse per tenere insieme azione educativa, pastorale e discernimento. Collegare il «polo ideale» (credere) con il «polo operativo» (fare) saltando i livelli intermedi della visione (discernere) e della progettualità (scegliere) finisce il più delle volte per produrre un corto circuito educativo-pastorale, che brucia risorse, collaboratori, vocazioni.
In oratorio la Chiesa si può reinventare, si può ripensare, si può tenere viva a partire da una visione di chi è il cristiano oggi. Forse facciamo fatica a capire chi deve essere oggi il cristiano. Il discernimento educativo ci mantiene nell'ascolto dello Spirito, senza inaridirci nelle procedure, stando invece attenti alla comunità che vive la fraternità.

Un buon oratorio non è quello che risolve il problema ma che sa leggere dentro un bisogno una domanda, sa proporre un percorso possibile, permette ai ragazzi di sperimentarsi come “buoni”. L'oratorio è quell'ambito in cui tutta la comunità può crescere nella presa di cura, nella testimonianza umile e nell'evangelizzazione, attraverso il coinvolgimento ecclesiale e nell'apporto dei diversi carismi. Ed è la sintonia con le diverse figure che educa (allenatore, catechista, animatore, educatore, ...) e non il confronto fra esse.
Occorre impegnarsi a parlare la lingua dei ragazzi assumendo lo stile dell'animazione: andare incontro con ciò che desiderano. Ecco perché si fa sport in oratorio, ecco perché si fa teatro in oratorio, ecco perché si fa musica in oratorio. L'oratorio è un luogo di iniziazione umana (oltre che cristiana) con i mezzi semplici che ha a disposizione. L’oratorio, può essere quel contesto semplice e
accessibile in cui i ragazzi vengono accolti per essere attrezzati alla vita.
L'educazione cristiana – dice il papa – deve mettere in sintonia tre dimensioni: la testa, le mani e il cuore.
La progettazione educativa ha anch'essa delle dimensioni
dimensione pasquale
dimensione affettiva
dimensione intellettuale
dimensione della prossimità
dimensione itinerante

Tre provocazione per ripensarsi:
  • Il nostro oratorio è ambito di iniziazione umana e nello stesso tempo laboratorio di Chiesa per una Comunità che coglie nella relazione educativa un’opportunità per sé e per la sua crescita nella fede.
  • La cartina di tornasole che misura implacabile la nostra intensità missionaria è la comunicazione: oggi la Chiesa riesce a dire chi è? E quando lo dice è comprensibile?
  • Vogliamo veramente che il più lontano da noi torni ad essere quello a noi più famigliare? In altre parole, ci mancano quelli che mancano?



don Stefano Guidi
direttore della Fondazione Oratori di Milano

mercoledì 12 settembre 2018

Complessità e progettazione educativa - FOI//2

Noi siamo un progetto: l'essere umano per sua natura è progetto. La pedagogia cristiana ci richiama spesso questa caratteristica della natura umana. Il progetto è una dimensione costitutiva dell'essere umano.

Primo compito educativo è di accompagnare la singola progettualità personale: fare in modo che recuperi l'orizzonte progettuale della sua esistenza. L'impegno educativo si esplica a sostegno di tale recupero. Dobbiamo allora promuovere i margini di scelta  e possibilità di ogni situazione che ci è data. Non è fuggire ma è stare in una situazione.

La progettazione educativa contrasta il “si è sempre fatto così”: non siamo soggetti passivi ma soggetti attivi. Occorre fiducia inesauribile delle singole persone e delle comunità. Non esiste nessun progetto se non basato sulla fiducia. La progettazione è questione di sguardo. Il rischio è che diventi un atto burocratico, uno scritto appiattendo così su un figlio di carta un'azione di ampio respiro che è ben più grande di uno strumento schematico seppur utile e importante. Uno sguardo capace di vedere i dettagli ma anche ciò che è oltre. La progettazione non è solo roba dei professionisti, ma ognuno dovrebbe formarsi.

Il progetto parte da una situazione contingente e alla situazione ritorna: vuol dire che sta in quella situazione molte volte guadagnando uno sguardo nuovo e una grandissima capacità di leggere la realtà. Significa conoscere fino alle fondamenta quella realtà e capire ciò che è possibile. Alla trascendenza si giunge attraverso la possibilità. Quanto più stiamo radicati in una situazione, tanto più riusciamo a trovare soluzioni efficaci per viverla al meglio (principio di immanenza). Dobbiamo affezionarci alla realtà, restare aderenti alla realtà, innamorarci dei contesti e starci dentro. Il progetto esprime l'azione intenzionale di significare la realtà.

Quanto la nostra azione progettuale rende più libere e autonome le persone? Quanto invece le imbriglia? L'educazione è volta alla sua estinzione perché l'altro cresca, perché l'altro vada. Non siamo più capaci di rapportarci con questa fine: i ragazzi dall'oratorio devono andare anche via e non possono rimanervi per sempre.

Ruoli e funzioni sono questioni importanti. Quando si progetta si attribuiscono ruoli e funzioni. Non sono la stessa cosa. Il primo è una posizione gerarchica (non per forza negativa), la funzione è come la persona si riappropria del ruolo ovvero la sua speciale concretizzazione. Non si può dare un ruolo senza dare le funzioni, ovvero senza dire come interpretare quel ruolo. Così succede che le persone si rifugiano nel ruolo. Se invece la funzione viene esplicitata e condivisa, nel momento in cui le persone cambieranno le funzioni rimarranno. È importante che chi vive le funzioni educative sia messo in grado di vivere bene e con serenità tale situazione.

Non posso mai progettare con qualcuno in educazione, ma posso solo educare con qualcuno. Quanto coinvolgiamo i collaboratori e i destinatari in maniera diretta o indiretta? Quanto ci sta questa dimensione di co-progettazione. Essa è un'arma potentissima. Non esiste un'autentica progettualità se non è co-progettualità: è un'opera a più mani, ma si richiede la collaborazione di tutti.

L'azione progettuale ha un inizio, una meta e un itinerario che non per forza è lineare perché la vita stessa non è lineare: ci sono battute d'arresto e riprese. Gli oratori devono diventare elastici non solo nell'accogliere i nuovi arrivi ma anche nel saper accogliere i ritorni. Predisporre il terreno per i ritorni. Occorre poi saper gestire le partenze.

Spazio, tempo e corpo. Ogni azione educativa deve fare i conti con queste tre dimensioni: ognuna influisce sull'altra. Quali spazi e quali tempi dedichiamo alle relazioni in oratorio? Per vivere la progettualità abbiamo anche bisogno di tempi di sosta, in cui non facciamo niente. 
Aiutare il tempo della sosta e della riflessività, senza dover scandire i tempi di tutto.
Tre competenze significative per progettare
- dosare le forze in maniera realistica: misurare le forze che abbiamo, quali risorse abbiamo a disposizione, non lasciarsi prendere dal perfezionismo
- allenare la riflessività: ripensare, ritornare sulle esperienze per guadagnare sapere, trovare chiavi di significato
- valutare e verificare: non tempo di giudizio ma di nuova scoperta, dare giusto peso e valore, cercare l'essenziale, tempo di sosta e di contemplazione

Abbiamo più bisogno di progettualità che di programmazione: il buon professionista sa dare spazio alla spontaneità propria e del volontario. Inoltre occorre non schiacciarsi sulle emergenze ma abbiamo busogno di ampi respiri, di non accogliere qualsiasi desiderio da parte dei ragazzi ma aiutarli a crescere nel desiderio.

“Non sono i fatti che contano ma ciò che grazie ai fatti si diventa” (Etty Illesum)

Prof Alessandra Augelli

martedì 11 settembre 2018

Oratorio, medicina di cura e di comunità - FOI/1

In questi giorni ho avuto la fortuna di essere invitato a Matera all'assemblea nazionale del Forum degli Oratori Italiani (FOI). Questa esperienza l'ho vissuta con l'intenzione di riportare quanto ho ascoltato (e non sempre digerito) a chi non è stato presente. Sono andato a nome di tanti e non a nome mio: se così non fosse sarei un grande egoista e non vivrei secondo uno spirito ecclesiale ma individuale. Certo ha fatto bene a me per primo, ma mi è chiesti di fare da cassa di risonanza. Ecco perché (terminati gli articoli di approfondimento sul Progetto Educativo dei nostri oratori) ho pensato di riportarvi le parole che mi sono state consegnate affinché davvero un poco di lievito possa fermentare quanta più pasta possibile. Buon oratorio a tutti!

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Uno dei rischi peggiori di questo tempo in campo educativo è l'individualismo, ancor più della secolarizzazione. L'individualismo genera due cose: chiusura ed egoismo.
L'oratorio può essere la grande medicina per la Chiesa perché è medicina di cura e medicina per fare comunità. Non è un'aspirina la cui ricetta è così da secoli: occorre fare continua ricerca per dirci cosa sia l'oratorio oggi. È sforzo di stare dentro la storia, dentro il territorio, essendo fedeli al Vangelo. L'oratorio è medicina perché esercizio di cura, ovvero di persone che cercano di vivere in un grande rispetto, in un grande amore. Purtroppo ci sono giovani preti che vedono l'oratorio come una sciagura che potrebbe cadergli sulla testa. 
L'oratorio è poi esercizio di comunità ed esso può essere una sana provocazione per la Chiesa e i territori di oggi: decidere di raccogliere dei ragazzi e non lasciarli crescere da soli significa offrire il cuore come ha fatto Gesù.
In questo tempo le strategie per fare oratorio sono opportunità e ostacolo allo stesso tempo. L'oratorio deve aiutarci a disegnare un grande arco temporale che vada dall'infanzia alle soglie della giovinezza: diventare grandi è un'azione che dura tanto tempo, che richiede una serie di azioni, perché diventa più facile se tali azioni sono coordinate fra di loro. Azioni che toccano la catechesi, il tempo libero, lo sport. Attenzione al tempo e ai soggetti: questo dà lo stile alla pastorale giovanile perché se essa nasce a vent'anni sarà sempre una pastorale giovanile di rincorsa. 
L'oratorio può essere di competenze alte ma anche un luogo di competenze troppo basse: chiedersi se lì gli educatori ci sono. Gli educatori non si tirano giù dall'albero in giardino ma si formano nel tempo. Le competenze possono essere riconosciute e pagate: una comunità può investire su delle competenze professionali. Ciò aiuta il volontariato ad aumentare le sue capacità. “Et-et” e non “aut-aut”.
L'oratorio ha il merito di elevare il protagonismo della comunità, di tutte quelle realtà che vi lavorano ma che devono essere chiamate al tavolo e coordinate. Non c'è oratorio se non c'è una comunità disposta a mettersi in gioco. Vuol dire che tutti i soggetti devono entrare in un gioco di comunità. Manca l'idea che la Chiesa è un'impresa comune.


Don Michele Falabretti - Incaricato nazionale di Pastorale Giovanile

giovedì 6 settembre 2018

Pilastri del metodo educativo - PE/8

Ciò che parla ai ragazzi, ciò che veramente li colpisce e li coinvolge non sono tanto i contenuti delle nostre attività, quanto il modo con cui vengono proposte. L'oratorio ha un suo stile e un suo metodo educativo proprio, che si contraddistingue per cinque caratteristiche che rappresentano i 5 pilastri sopra i quali viene eretta l'architettura oratoriana. Non stiamo parlando delle struttura fatta di travi, mattino, muri ma della struttura fisica in quanto composta dalle persone e della struttura di pensiero che sorregge il progetto.
I cinque pilastri del metodo educativo dell'oratorio sono
  • un'esperienza di gruppo: l'oratorio non è oratorio se si sta da soli e isolati, infatti esso è intreccio di relazioni e creazioni di legami stabili e sempre più profondi, rapporti che danno vita al gruppo dei ragazzi dell'oratorio, un gruppo informale ma allo stesso tempo riconoscibile; in oratorio tutto quello che si fa lo si fa a gruppo, piccolo o grande che sia, dai compiti alla merenda, dalla riflessione al gioco, ...si educato attraverso il gruppo, nel gruppo, col gruppo.
  • un ambiente accogliente: l'oratorio è casa nella misura nella quale c'è qualche "grande" che è pronto ad aprire le porte e ad accogliere chi vi entra, perché se tutte le volte che un ragazzo o una ragazza entrano si sentono chiamati per nome, se viene chiesto loro come stanno quel giorno, se si chiede come è andata la verifica, la partita o come va la sfera sentimentale fa la differenza.
  • l'accoglienza progettuale del ragazzo: come diceva papa Giovanni XXIII "Dio sa contare solo fino a 1", ovvero ha a cuore ciascuno al di là dei numeri, si ferma per te, riparte da te e con te; anche questa attenzione fa dell'oratorio un luogo educativo perché ciascun ragazzo con il trascorrere del tempo viene conosciuto per le sue qualità e le sue difficoltà, e da qui accompagnato nella misura più adeguata caso per caso, facendo attenzione a quelle sfumature che anche dentro a un'esperienza di gruppo ogni giovani porta in sé e che un buon educatore sa cogliere e sa come comportarsi di conseguenza.
  • un contesto comunitario: i ragazzi dell'oratorio, anche quelli che non vanno a messa la domenica, sanno benissimo che quel luogo viene abitato anche da altre persone di altre età, di altre culture, in tempi differenti; questo genera fascino da un lato e corresponsabilità dall'altro, sapersi accolti da una parte ma anche di non essere padroni di casa dall'altra. 
  • l'imparare facendo: l'oratorio è luogo dove fare esperienze, dove sporcarsi le mani, dove mettersi in gioco; è un continua avere la mani in pasta e da queste esperienze passare a trasformarle in sapienze di vita attraverso l'accompagnamento di educatori ed animatori; all'oratorio non vale la risposta "non lo so fare" se non temporaneamente, perché in oratorio ci si mette alla prova senza la paura di un giudizio affrettato e umiliante, sapendo che l'errore fa parte dell'allenarsi e che per imparare qualsiasi cosa (a suonare uno strumento, a cantare, a recitare, a studiare, a giocare a basket, a versare l'acqua nel bicchiere altrui, al pregare con le tue parole, a fare la ruota, ...) si deve entrare nella logica dei piccoli passi possibili.

Questi cinque pilastri tuttavia, non si terrebbero legati assieme senza un architrave: questo è la preghiera, una preghiera trasversale fatta di parole e opere. Come? Beh, ogni giorno in oratorio (terminata l'accoglienza iniziale) si recita la preghiera semplice di san Francesco, un modo di pregare che va bene tanto per i cristiani quanto per le altre religioni (trasformando fra l'altro quel tempo in un cantiere di pace): i ragazzi (di qualsiasi religione) fanno a gara per poter recitarla da solisti o come guide. In più si cerca di far diventare vita quelle parole della preghiera, diventando a poco a poco preghiera vivente. Quest'ultimo punto è qualcosa che forse insegniamo poco come cristiani eppure lo stesso Gesù parlare di persone che ascoltano la Parola e la mettono in pratica e persone che ascoltano e basta. Per costruire la casa sulla roccia (e l'oratorio prende spunto da questa parabola) occorre trasformare in vita la preghiera quotidiana, assumere i tratti del più bello fra i figli dell'uomo.
Infine durante l'anno non manca una parte in cui si approfondisce la vita di un santo: l'anno passato abbiamo conosciuto don Bosco, l'anno che sta per iniziare probabilmente incontreremo san Filippo Neri, non a caso due discepoli che hanno fatto dell'oratorio uno strumento di evangelizzazione.

martedì 28 agosto 2018

I contenuti della proposta - PE/7

Oggi parliamo della parte più concreta del progetto educativo degli oratori ovvero ciò che riguarda i contenuti della proposta. Si tratta della scelta più concreta concernente un'indicazione di massima sulle cose da fare, le attività, i percorsi che confluiranno nella programmazione annuale.
Ogni proposta cerca di lavorare su uno o più obiettivi di cui abbiamo parlato nell'articolo precedente e la scelta di ogni proposta deve scaturire dalla strategia d'intervento, che abbiamo detto essere il protagonismo giovanile. Occorre domandarsi: questa iniziativa a quali obiettivi risponde? Come si inserisce nella strategia complessiva? Porsi quesiti simili fa rimanere fedeli ai giovani e al Vangelo ed evita che certe attività si portino avanti solo per inerzia, per abitudini, sebbene da tempo se ne sia smarrito il significato.
Se dovessimo pensare al catechismo dei ragazzini, i contenuti di tale proposta probabilmente sarebbero: l'incontro di catechesi settimanale (o quasi), ritiri nei momenti forti, celebrazione di alcuni sacramenti (riconciliazione, eucarestia e confermazione), incontro coi genitori. Per quanto riguarda i cammini formativi degli adolescenti oltre all'incontro settimanale si andrebbero ad aggiungere l'assunzione di un servizio, la frequentazione dei sacramenti, ritiri nei tempi forti, settimane comunitarie, campi invernali ed estivi, e via dicendo. Se fossimo una squadra di pallavolo dovremmo inserire i giorni dell'allenamento, le partite, i ritiri prestagionali, le feste della società sportiva...
Nella nostra UP, gli oratori offrono 6 proposte
  • un cortile aperto - con esso si intende quello spazio e quel tempo inzuppati di informalità in cui diversi ragazzi, sotto l'occhio vegliante di almeno un educatore, si possono incontrare e trascorrere parte del pomeriggio in amicizia senza performance da raggiungere, per il gusto di giocare così come avveniva una volta: il cortile rende concreto l'obiettivo della socializzazione e quello della condivisione.
  • l'accompagnamento nei compiti - non si tratta di un doposcuola (come purtroppo troppo spesso ed erroneamente viene chiamato) ma di un modo di fare i compiti bene preciso, un metodo che riprendere quello del cooperative learning (apprendimento cooperativo) in cui al centro vi sono i ragazzi stessi che devono cercare di svolgere il proprio dovere in piccolo gruppo, creando comunità, mentre l'animatore e adulto fungono da registi di questo loro protagonismo: l'accompagnamento nei compiti cerca di raggiungere l'obiettivo della responsabilità e della riflessione.
  • una serie di LabOratori - i nome si presta bene a giochi di parole in oratorio ma a parte le battute, essi hanno lo scopo di andare a caccia di talenti che devono essere scoperti nei ragazzi, per cui non si tratta di scimmiottare scuole di musica nel caso di LabOratori di chitarra o di essere la brutta copia di un corso di basket nel caso dei LabOratori sportivi; si tratta di avvicinare i ragazzi a strumenti,contesti ed esperienze nuove per loro che hanno solo il compito di solleticare l'appetito, di insegnare l'ABC per incanalare le energie in un eventuale futuro vero corso fatto da veri professionisti: certamente i LabOratori lavorano sulla ricerca dei talenti.
  • l'orientamento scolastico per la III media - ma come non lo fanno già le scuole? Sì e no. Nel corso della mia esperienza ho notato che le scuole più che formazione sull'orientamento fanno informazione sulle scuole superiori, su ciò che esse offrono. Si concentrano sul contenitore anziché sul contenuto. L'orientamento che propone l'oratorio è un percorso personale fatto a piccolo gruppo in cui i ragazzi lavorano su ciò che già li abita (talenti e limiti, desideri e paure, attitudini e futuro) per insegnare a discernere il bene dal meglio: si tratta della prima vera e propria scelta vocazionale della loro vita e in questo la comunità cristiana li deve accompagnare insegnando loro gli strumenti di questa arte. Associato a quanto propone la scuola ne deriva un cammino ben strutturato e completo per chi si avvicina alla scelta futura: questa proposta lavora sulla responsabilità e sulla riflessione del ragazzo.
  • i grest e i compigrest - chi non ricorda dei bei momenti estivi in oratorio? questi campi sono luogo di educazione dei bambini ma ancor più degli adolescenti che in estate si immergono in tale servizio per settimane intere. Col suo ritmo prolungato e quotidiano, il grest è in grado di offrire tantissime attività diverse fra loro: dalla preghiera al gioco, dai laboratori alle riflessioni, dalla merenda ai bans! Questa proposta aiuta a raggiungere, a modo suo, diversi obiettivi: socializzazione, condivisione, responsabilità, riflessione e ricerca dei propri talenti.
  • un accompagnamento generativo al servizio - non ci si improvvisa animatori ed educatori per cui l'oratorio si ingegna per creare percorso di formazione e di accompagnamento di queste figure al fine di capire meglio cosa si è chiamati a fare, ascoltare l'eco che risuona nella propria storia, discernere il male dal bene e il bene dal meglio e perseguire la strada del servizio, strada che oltre ttutto mi aiuta a conoscermi meglio così da diventare uno degli strumenti con cui fare discernimento vocazionale. Grazie al lavoro dell'educatore di progetto questa proposta diventa operativa nel raggiungere l'obiettivo della responsabilità, della riflessione, della ricerca dei talenti e della condivisione.
Come vedete l'oratorio è molto di più del dare due calci a un pallone alla "viva il parroco". E qualora si diano (perché si fa!) due calci al pallone dentro la testa e il cuore dell'educatore c'è (o pian pianino ci dovrà essere) tutta quella roba che ci siamo detti. Un prete un volta mi ha detto che il bello della famiglia di Nazaret è che non hanno fatto niente speciale ma hanno tanto vissuto a fondo l'ordinario da vederlo e dunque renderlo straordinario. Quanto mi ha detto questo ho subito pensato all'oratorio!





mercoledì 22 agosto 2018

Obiettivi dell'oratorio - PE/6

Gli obiettivi di un progetto aiutano a scandire e rendere concreta e chiara la finalità (evangelizzazione ed educazione come abbiamo visto qualche articolo fa). 
L'oratorio pertanto si attiva per raggiungere i seguenti 5 obiettivi
  • socializzazione, al fine di insegnare a non concentrarsi solo su se stessi
  • condivisione, al fine di allenarsi al dono di sé
  • responsabilizzazione, al fine di saper affrontare le sfide della vita
  • riflessione, al fine di generare pensiero e ascolto profondo di sé, dell'altro, del mondo e di Dio
  • ricerca dei talenti, al fine di conoscersi meglio e portare molto frutto trafficando ciascuno i propri talenti
Oggi ancor più di 10 anni fa è necessario educare a uscire dalla mentalità individualista e opportunistica. Luoghi in cui è possibile socializzare in maniera informale fra i ragazzi vi sono i parchi ma in questi non esiste talvolta un presidio educativo col rischio di lasciar gli adolescenti senza punti di riferimento. L'oratorio deve riprendere la sua vocazione di contesto informale e accessibile, con la presenza di figure educative che generino un clima sereno e vivace allo stesso tempo.
Dover riuscire a mettersi d'accordo su quale gioco fare, chi gioca e chi aspetta, con che regole, ...sono piccoli cantieri di condivisione che potrebbero correre il rischio di diventare muri di esclusione se non vegliati da un occhio adulto in grado di far risvegliare la coscienza di ciascun ragazzo.

Bello è pensare al fatto che Gesù, il Figlio di Dio, abbia vissuto con grande slancio questi cinque obiettivi. Ancora più bello è riflettere su come li abbiamo vissuti, con che spirito, con che animo. Egli non è stato certamente un ritirato sociale: amava stare in mezzo alla gente anche se non si lasciava mancare momenti di intimità con Dio o con gli apostoli. Ha insegnato a condividere tutto: dal pane alla quotidianità, dal vino alla festa, dalla sua relazione col Padre a quella coi più emarginati. E come dimenticare le diverse parabole sui talenti che ha proclamato più volte alle folle? Gesù scommette sui talenti ancora sepolti tanto da far dei primi chiamati pescatori, sì, ma di uomini. E quanti racconti di chiamata troviamo nei vangeli, incontri in cui il messia chiama giovani e adulti a rispondere alla propria chiamata nella quotidianità e con spirito di audacia e grande ardimento.
Nel prossimo articolo parleremo della attività con cui in oratorio cerchiamo di incamminarci verso questi obiettivi. Spero che nessuno rimanga scandalizzato se a volte lo stile dell'oratorio non incontra i canoni aspettati ma occorre tenere a mente che l'oratorio può essere una delle vie che conduce al Padre e che in tutti i casi occorre guardare con gli occhi del Signore per vedere l'invisibile nascosto nella ferialità. 

lunedì 20 agosto 2018

Una strategia d'intervento: il protagonismo giovanile - PE/5

Scegliere una strategia significa decidere su "cosa far leva" per raggiungere le finalità preposte. L'oratorio gioca la carta del protagonismo giovanile, col quale si intende accompagnare i ragazzi a vivere la propria vita (quotidianità e scelte forti) non da spettatori ma da protagonisti appunto. Se accendiamo la tv, siamo al cospetto tante volte di un'ostentazione di protagonismo (e non solo giovanile) specialmente nei talent show in cui l'obiettivo è quello di trovare l'unico talento in grado di sbaragliare tutti gli altri. In oratorio (e nella vita di tutti i giorni ci si dovrebbe sforzare di pensare così al fine di edificare il Regno di Dio) invece il protagonismo diventa tale solo se i talenti di ciascuno vengono messi in comunione gli con gli altri. Non un talento su tutti, ma ciascun talento per il bene di tutti. La logica è fortemente diversa. 
Questo sano protagonismo lo si cerca di vivere in ogni istante del pomeriggio sia per i ragazzi, sia per gli animatori. Gli adulti ci sono ma per non invadere lo spazio dei più giovani cercano di starsene dietro le quinte, con uno sguardo sapiente e attento come quelle del buon pastore che custodisce tutte le pecore, comprese le pecore madri.   
Pertanto, a noi adulti spetta il compito di accompagnare le giovani generazioni, un accompagnamento che non diventa mai sostituzione (mai sconfinare lo spazio altrui, anche se ciò comporterà senz'altro degli errori - e gli errori, se riletti con un adulto, insegnano qualcosa) al fine di 
  • assumersi le proprie responsabilità, 
  • abbattere il muro dell'indifferenza, 
  • aprire lo sguardo al futuro 
  • e le mani a chi ha bisogno
Responsabilità è una parola che significa "essere capaci a rispondere". Ma rispondere a cosa? e soprattutto, rispondere a chi? Si tratta di essere attrezzati a rispondere alla Vita che ti ha chiamato alla vita, si tratta di sentire e rispondere ad un appello del Signore che chiama ciascuno a costruire il suo regno, regno di amore e misericordia. 
Di abbattere muri di indifferenza tanto ha parlato papa Francesco per cui non vorrei dilungarmi tanto. Se pensiamo ai talenti e al tempo che ci sono stati donati come a una serie di mattoncini possiamo pensare di utilizzarli in due modi: o per costruire muri o per costruire ponti. I primi ci isolano e ci danno un'immediata ma effimera sensazione di sicurezza, mentre i secondi ci consentono di metterci in relazione a scapito di uscire dalle nostre (a volte vane) certezze. Significa scegliere di barricarsi come "schiavi in Egitto" (una bella gabbia d'oro, ma pur sempre una gabbia!) oppure fidarsi di Dio che ti chiede di uscire dalla logica di una vita di sussistenza a una di pienezza. La seconda è la logica dell'Esodo, dunque una logica pasquale e l'amore, quello vera, presenta sempre il segno dei chiodi, ma la morte (come quella del chicco di grano caduto in terra) non è l'ultima parola sulla tua vita.
Il futuro è forse il grande tema dei giovani oggi. Anche qui vi invito a leggere il discorso del papa ai giovani riuniti pochi giorni fa al Circo Massimo. Siamo in un contesto molto diverso rispetto anche solo a 15 anni fa, e ancora di più rispetto a 30 anni fa. Dico questo perché spesso i genitori cercano di dare buoni consigli basandosi sul contesto dei loro tempi: mmm. Oggi i ragazzi sono disorientati perché ci sono (quasi) infinite possibilità che si pongono loro davanti. Questo è un bene solo se sono stati educati al discernimento sia nel quotidiano sia nel momento delle scelte forti. Con un'immagine assomiglia alla sindrome del foglio bianco. L'oratorio, nella sua semplicità, accompagna i giovani e giovanissimi a discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e il bene dal meglio, e non solo per se stessi ma in un contesto comunitario come è la realtà che li circonda. 
Infine, ci lasciamo con un personaggio a me molto caro: Simone di Cirene. Perché è bello Simone? Perché attira tanta simpatia e suscita tanta commozione? Perché era un uomo dalle spalle libere che ha aiutato un condannato dalle spalle appesantite! Un giorno il mio padre spirituale di Assisi mi ha detto che coloro che hanno le spalle libere le hanno perché aiutino altri a portare le loro croci senza mai sostituirsi ad essi. Gli animatori di oratorio, nel loro piccolo, fanno questo: si mettono a servizio in ciò che c'è da fare, dall'aiuto nei compiti, alla conduzione di un bans o di un gioco, giocando a loro volta coi ragazzini, pensando a cosa fare per merenda, parlando con loro e ascoltandoli, facendoli sentire importanti ai loro occhi. E ci sono persone che fin dalla loro infanzia sono stati segnati da traumi di distacco con gli adulti di riferimento: in oratorio, case di relazioni che tendono a essere il più simili a quelle del regno dei Cieli, si trova casa per tutti perché ognuno pian piano viene incontro all'altro!

venerdì 17 agosto 2018

Bisogni e risorse - PE/4

Ogni progetto educativo presuppone l'esistenza di un bisogno in colui a cui viene destinata l'azione educativa. Tuttavia è molto raro che un ragazzo esprima un'esplicita domanda di educazione e di evangelizzazione per cui la comunità dell'oratorio presume che nei giovani vi sia questa sete, questa ricerca nascosta dietro a richieste parziali, richieste quali divertimento, istruzione, socializzazione, orientamento, e così via.
In particolare, sul nostro territorio si sono individuati 4 bisogni su cui focalizzarsi, e sono i seguenti:
  • Relazioni autentiche con i pari. Siamo in un contesto fortemente digitalizzato e informatizzato ma altrettanto non sempre consono a instaurare vere e proprie relazioni. Il ridotto numero di fratelli in famiglia, qualora vi siano, riduce ulteriormente la capacità di stringere legami autentici con i coetanei. L'oratorio, con la sua capacità di accogliere tanti ragazzi e l'attenzione degli educatori, favorisce l'instaurarsi di amicizie che sanno di fraternità. 
  • Punti di riferimento a cui dare la propria fiducia. Oggi come ieri i giovani sono alla ricerca di punti di riferimento credibili ai loro occhi ma non è facile riuscire a trovarne in tutti i posti. L'oratorio, con la sua funzione educativa, accompagna i ragazzi attraverso la cura di educatori ed animatori che spendo parte del loro tempo con loro e per loro. La credibilità passa attraverso il canale della costanza e dell'umiltà con cui ciascuna figura educativa deve prima o poi fare i conti. Tuttavia questi atteggiamenti sono capaci di fare breccia nell'intimo dei ragazzi dell'oratorio, che a poco a poco si aprono, si confidano e si affidano a qualcuno di più grande di loro, un pochino più avanti nel cammino.
  • Ricerca dei propri talenti da far fruttare. In oratorio si impara facendo, ci si nutre di esperienze che devono poi essere fatte assimilare ai ragazzi perché diventino sapienza. Questo è un luogo in cui ci si può sperimentare e scoprire tante cose nuove su di sé in una fase tanto duttile come è quella dell'età evolutiva. Scoprire nella quotidianità le proprie peculiarità è uno degli obiettivi dell'oratorio, pungolato dalla parabola dei talenti che sprona ciascuno a tirare fuori il meglio di sé donandolo agli altri piuttosto che ficcarlo sottoterra dove nessuno può goderne. 
  • Dare significato alla propria esistenza. Abbiamo appena detto che l'oratorio è un campo in cui fare esperienza ma che occorre imparare a rileggere i fatti per ricavarne una sapienza di vita. Ecco che allora occorrono tempi e spazi affinché i ragazzi dell'oratorio possano fare questo passaggio. Importante diventa dunque la riflessione e il dialogo sia personale che in gruppo, perché esso allena la verbalizzazione (e una cosa è davvero tua solo quando la chiami per nome) e l'ascolto (primo di tutti i comandamenti, "Shema Israel"!). 

Al fianco dei bisogni vi sono sempre delle risorse attraverso le quali provare a rispondere. Certamente le prime risorse da cercare e da valorizzare sono quelle già presenti in ogni ragazzo. Non dimentichiamoci che ogni ragazzo porta in sé cinque pani e due pesci. Se ci dimentichiamo che davanti a noi abbiamo una creatura con tante potenzialità (forse inespresse ma che ci sono) allora dovremmo smettere di fare oratorio. Non mi stancherò mai di dire che non siamo alla presenza di vuoti a perdere, da dover riempire con le nostre idee. Quando siamo davanti a un ragazzo, siamo davanti a un mondo intero. 
Detto questo, tuttavia, l'oratorio vive della disponibilità e del carisma di figure di riferimento:
  • Educatori. Oltre all'educatore di progetto ve ne sono infatti anche altri che possono provenire dalla vita comunitaria della "missione km 0" piuttosto che dai gruppi giovani dei cammini formativi. Tuttavia non sono molti, anzi, a oggi sono davvero davvero pochissimi per cui occorre pregare per loro ma anche per chi potrebbe venire a dare una mano affinché il sogno dell'oratorio non tramonti ma si innalzi sempre più.
  • Animatori. Possono essere ragazzi della parrocchia, o che arrivano attraverso il canale dell'alternanza scuola-lavoro, oppure ragazzi che vivono sul territorio ma che non frequentano i cammini formativi. Essi sono veramente tanti nel periodo estivo quanto pochissimi diventano durante il più lungo periodo invernale, dove effettivamente c'è la possibilità di instaurare relazioni più forti perché intessute di ferialità e costanza. 
  • Volontari adulti. In particolare all'oratorio di Regina Pacis occorre dire che vi sono diverse figure adulte che si rendono disponibili per i compiti, o per preparare la merenda o per stare in mezzo ai ragazzi per garantire più sicurezza. Sarebbe buona cosa che anche negli altri oratori un numero crescente di adulti possano mettersi a servizio (qualsiasi) per i ragazzi dell'oratorio.
  • Associazioni. Possono essere associazioni sportive come P.A.C.E. con la quale collaboriamo in particolare per l'animazione del cortile una volta alla settimana oppure grazie all'avvio di qualche LabOratorio sportivo. Altra associazione con cui l'oratorio vuole collaborare sono gli scout coi quali condivide molti criteri educativi.
  • Servizi sociali. Oratori e polo sociale sono fortemente in collaborazione rispettando ognuno l'identità dell'altro e senza cadere in un legame di delega. Oltre a essere un prezioso osservatorio del mondo giovanile sul territorio, l'oratorio si rende disponibile per l'accoglienza di alcuni casi inviati dai servizi e per i quali l'oratorio assolve sempre la sua funzione educativa.
  • Scuole. Pur non essendo subordinato alle scuole, l'oratorio apre un dialogo con esse perché entrambe sono agenzie educative sul territorio e ciascuna è bene sviluppi la propria missione per il bene dei ragazzi stessi. Là dove si è riuscito a creare questo dialogo effettivamente i ragazzini ne beneficiano e crescono con l'idea che vi sia alleanza educativa fra gli adulti con cui entrano in relazione, senza sentire strappi o ambiguità fra di esse.