Noi siamo un progetto: l'essere umano per sua natura è progetto. La pedagogia cristiana ci richiama spesso questa caratteristica della natura umana. Il progetto è una dimensione costitutiva dell'essere umano.
Primo compito educativo è di accompagnare la singola progettualità personale: fare in modo che recuperi l'orizzonte progettuale della sua esistenza. L'impegno educativo si esplica a sostegno di tale recupero. Dobbiamo allora promuovere i margini di scelta e possibilità di ogni situazione che ci è data. Non è fuggire ma è stare in una situazione.
La progettazione educativa contrasta il “si è sempre fatto così”: non siamo soggetti passivi ma soggetti attivi. Occorre fiducia inesauribile delle singole persone e delle comunità. Non esiste nessun progetto se non basato sulla fiducia. La progettazione è questione di sguardo. Il rischio è che diventi un atto burocratico, uno scritto appiattendo così su un figlio di carta un'azione di ampio respiro che è ben più grande di uno strumento schematico seppur utile e importante. Uno sguardo capace di vedere i dettagli ma anche ciò che è oltre. La progettazione non è solo roba dei professionisti, ma ognuno dovrebbe formarsi.
Il progetto parte da una situazione contingente e alla situazione ritorna: vuol dire che sta in quella situazione molte volte guadagnando uno sguardo nuovo e una grandissima capacità di leggere la realtà. Significa conoscere fino alle fondamenta quella realtà e capire ciò che è possibile. Alla trascendenza si giunge attraverso la possibilità. Quanto più stiamo radicati in una situazione, tanto più riusciamo a trovare soluzioni efficaci per viverla al meglio (principio di immanenza). Dobbiamo affezionarci alla realtà, restare aderenti alla realtà, innamorarci dei contesti e starci dentro. Il progetto esprime l'azione intenzionale di significare la realtà.
Quanto la nostra azione progettuale rende più libere e autonome le persone? Quanto invece le imbriglia? L'educazione è volta alla sua estinzione perché l'altro cresca, perché l'altro vada. Non siamo più capaci di rapportarci con questa fine: i ragazzi dall'oratorio devono andare anche via e non possono rimanervi per sempre.
Ruoli e funzioni sono questioni importanti. Quando si progetta si attribuiscono ruoli e funzioni. Non sono la stessa cosa. Il primo è una posizione gerarchica (non per forza negativa), la funzione è come la persona si riappropria del ruolo ovvero la sua speciale concretizzazione. Non si può dare un ruolo senza dare le funzioni, ovvero senza dire come interpretare quel ruolo. Così succede che le persone si rifugiano nel ruolo. Se invece la funzione viene esplicitata e condivisa, nel momento in cui le persone cambieranno le funzioni rimarranno. È importante che chi vive le funzioni educative sia messo in grado di vivere bene e con serenità tale situazione.
Non posso mai progettare con qualcuno in educazione, ma posso solo educare con qualcuno. Quanto coinvolgiamo i collaboratori e i destinatari in maniera diretta o indiretta? Quanto ci sta questa dimensione di co-progettazione. Essa è un'arma potentissima. Non esiste un'autentica progettualità se non è co-progettualità: è un'opera a più mani, ma si richiede la collaborazione di tutti.
L'azione progettuale ha un inizio, una meta e un itinerario che non per forza è lineare perché la vita stessa non è lineare: ci sono battute d'arresto e riprese. Gli oratori devono diventare elastici non solo nell'accogliere i nuovi arrivi ma anche nel saper accogliere i ritorni. Predisporre il terreno per i ritorni. Occorre poi saper gestire le partenze.
Spazio, tempo e corpo. Ogni azione educativa deve fare i conti con queste tre dimensioni: ognuna influisce sull'altra. Quali spazi e quali tempi dedichiamo alle relazioni in oratorio? Per vivere la progettualità abbiamo anche bisogno di tempi di sosta, in cui non facciamo niente.
Aiutare il tempo della sosta e della riflessività, senza dover scandire i tempi di tutto.
Tre competenze significative per progettare
- dosare le forze in maniera realistica: misurare le forze che abbiamo, quali risorse abbiamo a disposizione, non lasciarsi prendere dal perfezionismo
- allenare la riflessività: ripensare, ritornare sulle esperienze per guadagnare sapere, trovare chiavi di significato
- valutare e verificare: non tempo di giudizio ma di nuova scoperta, dare giusto peso e valore, cercare l'essenziale, tempo di sosta e di contemplazione
Abbiamo più bisogno di progettualità che di programmazione: il buon professionista sa dare spazio alla spontaneità propria e del volontario. Inoltre occorre non schiacciarsi sulle emergenze ma abbiamo busogno di ampi respiri, di non accogliere qualsiasi desiderio da parte dei ragazzi ma aiutarli a crescere nel desiderio.
“Non sono i fatti che contano ma ciò che grazie ai fatti si diventa” (Etty Illesum)
Prof Alessandra Augelli
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