In questi giorni ho avuto la fortuna di essere invitato a Matera all'assemblea nazionale del Forum degli Oratori Italiani (FOI). Questa esperienza l'ho vissuta con l'intenzione di riportare quanto ho ascoltato (e non sempre digerito) a chi non è stato presente. Sono andato a nome di tanti e non a nome mio: se così non fosse sarei un grande egoista e non vivrei secondo uno spirito ecclesiale ma individuale. Certo ha fatto bene a me per primo, ma mi è chiesti di fare da cassa di risonanza. Ecco perché (terminati gli articoli di approfondimento sul Progetto Educativo dei nostri oratori) ho pensato di riportarvi le parole che mi sono state consegnate affinché davvero un poco di lievito possa fermentare quanta più pasta possibile. Buon oratorio a tutti!
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Uno dei rischi peggiori di questo tempo in campo educativo è l'individualismo, ancor più della secolarizzazione. L'individualismo genera due cose: chiusura ed egoismo.
L'oratorio può essere la grande medicina per la Chiesa perché è medicina di cura e medicina per fare comunità. Non è un'aspirina la cui ricetta è così da secoli: occorre fare continua ricerca per dirci cosa sia l'oratorio oggi. È sforzo di stare dentro la storia, dentro il territorio, essendo fedeli al Vangelo. L'oratorio è medicina perché esercizio di cura, ovvero di persone che cercano di vivere in un grande rispetto, in un grande amore. Purtroppo ci sono giovani preti che vedono l'oratorio come una sciagura che potrebbe cadergli sulla testa.
L'oratorio è poi esercizio di comunità ed esso può essere una sana provocazione per la Chiesa e i territori di oggi: decidere di raccogliere dei ragazzi e non lasciarli crescere da soli significa offrire il cuore come ha fatto Gesù.
In questo tempo le strategie per fare oratorio sono opportunità e ostacolo allo stesso tempo. L'oratorio deve aiutarci a disegnare un grande arco temporale che vada dall'infanzia alle soglie della giovinezza: diventare grandi è un'azione che dura tanto tempo, che richiede una serie di azioni, perché diventa più facile se tali azioni sono coordinate fra di loro. Azioni che toccano la catechesi, il tempo libero, lo sport. Attenzione al tempo e ai soggetti: questo dà lo stile alla pastorale giovanile perché se essa nasce a vent'anni sarà sempre una pastorale giovanile di rincorsa.
L'oratorio può essere di competenze alte ma anche un luogo di competenze troppo basse: chiedersi se lì gli educatori ci sono. Gli educatori non si tirano giù dall'albero in giardino ma si formano nel tempo. Le competenze possono essere riconosciute e pagate: una comunità può investire su delle competenze professionali. Ciò aiuta il volontariato ad aumentare le sue capacità. “Et-et” e non “aut-aut”.
L'oratorio ha il merito di elevare il protagonismo della comunità, di tutte quelle realtà che vi lavorano ma che devono essere chiamate al tavolo e coordinate. Non c'è oratorio se non c'è una comunità disposta a mettersi in gioco. Vuol dire che tutti i soggetti devono entrare in un gioco di comunità. Manca l'idea che la Chiesa è un'impresa comune.
Don Michele Falabretti - Incaricato nazionale di Pastorale Giovanile
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