Come è bello vedere gli oratori pieni. Pieni di ragazzi, di animatori, di volontari adulti, di persone. Pieni di suoni (talvolta fastidiosi, talvolta festosi), di colori, di attività diverse ma che parlano lo stesso linguaggio, quello della comunione, lo spirito dello stare insieme. Pieni di fiducia, di amicizie, di litigi e di incomprensioni, ma anche di perdono e di dialogo.
Non parlo solo di uno ma di tutti gli oratori della nostra UP, che nonostante ognuno mantenga le proprie peculiarità si stanno tutti contaminando di relazioni sempre più approfondite e sempre più mescolate.
Abbiamo da poco ripreso a dire una delle preghiere universali che ci fanno iniziare col piede giusto ogni pomeriggio: vedere la voglia di pregare di questi ragazzi provenienti da diverse estrazioni sociali e da diverse culture è per me motivo di gratitudine nei confronti del Padre perché conferma l'oratorio come uno strumento vero e concreto di pastorale. Sentire che insieme invochiamo la capacità di essere strumenti della pace di Dio, quando insieme inneggiamo alla vita con le parole di madre Teresa o chiedere che su noi scenda lo spirito di santità non è roba da bigotti e ovviamente non è nemmeno solamente un oratorio che fa opere sociali.
Credo che questo sia un piccolo cantiere di quella chiesa che tanto auspica il Signore, oggi in particolare nelle parole e opere di papa Francesco. Una chiesa così tanto con-fusa nella quotidianità, nell'umanità, nell'ordinarietà da non poter che essere segno di qualcosa in più, di un cielo che non è vuoto. Ho usato appositamente il verbo con-fondere per ragionare non su un evento di caos ma di fusione: fondere cielo e terra è stato ed è tutt'ora l'opera di Cristo che tanto ha amato al mondo da giocarsi fino in fondo, ad ogni costo. Ma più che un costo penso si sia trattato di un investimento a vedere ad esempio nel mio piccolo così tanto fermento nei nostri oratori. Un'investimento di evangelizzazione fatto forse (FORSE) più di gesti che di parole, fatto certamente più di esperienza che di nozionismo, fatto più di processi che si sviluppano nel tempo che in lezioni che occupano uno spazio.
Credo in una chiesa prossima a chiunque le si faccia vicino ma anche che vada a stanare gli abissi che vi sono nell'animo umano. L'oratorio fa questo? In parte e con i suoi mezzi lo fa che ci si creda oppure no. Ovviamente per vedere occorre credere: questa è la chiave di lettura del vangelo di Giovanni, quel libro che quest'anno la nostra diocesi ha proposto come guida alla pastorale, in particolare nella sua seconda metà: il libro della gloria pienamente rivelata. L'oratorio certamente vive di più secondo il libro dei segni (la prima parte del vangelo giovanneo) in cui il Signore si rivela appunto per segni che introducono a qualcosa di più grande, di più profondo, di più nostalgico, di più. L'oratorio lo fa mettendo in gioco le persone. Pensiamo ad esempio al labOratorio di chitarra o a quelli di teatro che in alcuni dei nostri oratori hanno iniziato il proprio percorso. L'oratorio insegna, attraverso i linguaggi dell'animazione, che ogni uomo non è chiamato a vivere per dar gloria a se stesso ma a generare comunione.
Non parlo solo di uno ma di tutti gli oratori della nostra UP, che nonostante ognuno mantenga le proprie peculiarità si stanno tutti contaminando di relazioni sempre più approfondite e sempre più mescolate.
Abbiamo da poco ripreso a dire una delle preghiere universali che ci fanno iniziare col piede giusto ogni pomeriggio: vedere la voglia di pregare di questi ragazzi provenienti da diverse estrazioni sociali e da diverse culture è per me motivo di gratitudine nei confronti del Padre perché conferma l'oratorio come uno strumento vero e concreto di pastorale. Sentire che insieme invochiamo la capacità di essere strumenti della pace di Dio, quando insieme inneggiamo alla vita con le parole di madre Teresa o chiedere che su noi scenda lo spirito di santità non è roba da bigotti e ovviamente non è nemmeno solamente un oratorio che fa opere sociali.
Credo che questo sia un piccolo cantiere di quella chiesa che tanto auspica il Signore, oggi in particolare nelle parole e opere di papa Francesco. Una chiesa così tanto con-fusa nella quotidianità, nell'umanità, nell'ordinarietà da non poter che essere segno di qualcosa in più, di un cielo che non è vuoto. Ho usato appositamente il verbo con-fondere per ragionare non su un evento di caos ma di fusione: fondere cielo e terra è stato ed è tutt'ora l'opera di Cristo che tanto ha amato al mondo da giocarsi fino in fondo, ad ogni costo. Ma più che un costo penso si sia trattato di un investimento a vedere ad esempio nel mio piccolo così tanto fermento nei nostri oratori. Un'investimento di evangelizzazione fatto forse (FORSE) più di gesti che di parole, fatto certamente più di esperienza che di nozionismo, fatto più di processi che si sviluppano nel tempo che in lezioni che occupano uno spazio.
Credo in una chiesa prossima a chiunque le si faccia vicino ma anche che vada a stanare gli abissi che vi sono nell'animo umano. L'oratorio fa questo? In parte e con i suoi mezzi lo fa che ci si creda oppure no. Ovviamente per vedere occorre credere: questa è la chiave di lettura del vangelo di Giovanni, quel libro che quest'anno la nostra diocesi ha proposto come guida alla pastorale, in particolare nella sua seconda metà: il libro della gloria pienamente rivelata. L'oratorio certamente vive di più secondo il libro dei segni (la prima parte del vangelo giovanneo) in cui il Signore si rivela appunto per segni che introducono a qualcosa di più grande, di più profondo, di più nostalgico, di più. L'oratorio lo fa mettendo in gioco le persone. Pensiamo ad esempio al labOratorio di chitarra o a quelli di teatro che in alcuni dei nostri oratori hanno iniziato il proprio percorso. L'oratorio insegna, attraverso i linguaggi dell'animazione, che ogni uomo non è chiamato a vivere per dar gloria a se stesso ma a generare comunione.
L'oratorio è l'unico strumento per educare le giovani generazioni? Assolutamente no. Eppure credendoci di più può fecondare e portare molto frutto nel tempo.
È bello leggere queste cose che dicono di un cammino, di scelte evangeliche, di voglia di regno di Dio. E di qualcuno che ci creda
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