Stile è il modo con cui guardiamo l'oratorio, con cui pensiamo l'oratorio, il perché facciamo l'oratorio, il come viviamo l'oratorio.
Esistono sei criteri per discernere la progettazione in oratorio fatto ciascuno di due polarità (una tensione fra due aspetti). Queste polarità ci permettono di parlare lo stesso linguaggio mantenendo al tempo stesso ognuno la propria specificità. A volte abbiamo gli elementi ma non la sintonia fra essi (come cuocere la pasta buttandola nell'acqua prima di farla bollire come fanno all'estero).
- Ispirazione. L'ispirazione non è la mia ma è il soffio dello Spirito, è il Vangelo: non è banale chiederci se i nostri oratori sono ispirati da Lui. Il mio oratorio è una vela che si lascia gonfiare dal soffio del suo spirito oppure apriamo gli oratori con la vela chiusa? L'ispirazione non ce la inventiamo noi. C'è una dimensione spirituale fortissima. L'ispirazione sta nell'educazione e nell'evangelizzazione. Gli oratori non nascono da noi ma da una domanda che lo Spirito presenta a noi, una domanda che intercetta la domanda dei ragazzi. La questione è sugli appelli, ovvero sulla domanda che la vita di quel ragazzo pone a me, e non tanto quella domanda che io pongo su di lui. L'educazione va con l'evangelizzazione perché non possiamo pensare l'una senza l'altra. Vado in oratorio ad annunciare il Vangelo ma stando attento alla realtà di quel territorio, cercando di fare un passo alla volta, con gradualità. Senza ispirazione l'oratorio diventa sterile perché è lo Spirito che rende feconda la Chiesa.
- Dedizione. Quali sono le vele che si gonfiano? Chi fa l'azione educativa? Chi è che oggi si consegna, si dedica all'oratorio oggi? Chi si fa toccare da quell'ispirazione? Non vi è solo l'iniziativa laicale né solo quella religiosa: queste due polarità devono combinarsi insieme. I sacerdoti devono vivere l'oratorio, i laici devono vivere l'oratorio. La gratuità rimane sempre anche nel servizio degli educatori professionali. Vi sono educatori professionali che hanno dedizione e ci sono volontari che non ce l'hanno: la dedizione è qualcosa di più profondo del compenso. Il contrario di questo è l'oratorio fungo, l'oratorio estemporaneo: si riempie d'estate e poi svanisce perché mancano figure dedicate.
- Sguardi. Chi ci sta in oratorio? Gli oratori nascono per le giovani generazioni per cui bisogna stare attenti che non diventino l'allargamento dei giardini dell'infanzia per le famiglie, ad esempio. Se l'oratorio non è per le giovani generazioni non è oratorio. Fin dove noi pensiamo l'oratorio? Lo sguardo fin dove si spinge? È possibile pensare un oratorio per gli over18? Sì, ma non devo far fare ai giovani quello che faccio fare ai bimbi, e non faccio fare a tutti i giovani gli animatori ed educatori, ma rispetto i carismi di ciascuno. È possibile costruire comunità. Ad esempio la sala studio per gli universitari con il wifi gratuito: esiste. E lì possiamo incontrarli. Esistono anche ragazzi che non vediamo quasi mai: disabili e malati. Spesso a questi ci pensano i servizi pubblici e noi li portiamo a messa la domenica tutt'al più. Poi c'è la questione della intergenerazionalità: una comunità attenta ai giovani, che abita l'esperienza dell'oratorio e non si accontenta di avere spazi aperti e un educatore o un religioso in gamba. Il contrario è un oratorio che ha uno sguardo a categorie è un oratorio miope.
- Metodo. Linguaggi della fede e linguaggi per la fede. Purtroppo abbiamo oratori in cui vi sono educatori che non pregano e non fanno pregare, non annunciano il Vangelo in nome di un “laicismo” insipido. Noi impariamo dalla vita dei ragazzi e vediamo dei tratti del Vangelo nelle loro vite, nelle loro parole: da un lato li evangelizziamo e dall'altra ci evangelizzano, e la Bibbia è piena di stranieri e piccoli che insegnano a Israele qualcosa su Dio. Il Vangelo è oltre la nostra testa, oltre i nostri schemi: occorre mettersi in ascolto per entrare nella vita. Il metodo dell'oratorio non è aver tutto preparato ma è anche imparare dai ragazzi e per imparare ci vuole tempo. Gesù ha predicato per 3 anni ma per 30 ha imparato a diventare uomo. Spesso non possiamo partire dal kerigma ma dobbiamo metterci al fianco di ragazzi per accompagnarli.
- Proposte. La proposta sta fra le attività e il luogo-struttura. I ragazzi si ricordano delle cose fatte in oratorio, delle esperienze vissute in oratorio. Non è solo una proposta ma è anche un luogo di appartenenza perché l'oratorio è casa delle relazioni dove vivere un tempo di informalità, dove si passa di lì senza dove per forza avere sempre un obiettivo specifico. Ci sono oratori troppi impostati sulle attività e ce ne sono altri sempre aperti ma che non fanno proposte. L'oratorio che non crea appartenenza è un oratorio irrilevante: quanta gente passa dai nostri oratori, consuma e va?
- Orizzonti. A cosa guarda l'oratorio sta fra la vita ecclesiale e la testimonianza nel mondo. Da un lato vorremmo che i ragazzi crescano come discepoli ma dobbiamo chiederci come devono crescere nella comunità cristiana. Alcuni devono imparare a vivere nel mondo un servizio: nel mondo politico ad esempio. Non dobbiamo accompagnare i giovani solo perché un domani potrebbero diventare catechisti ed educatori ma per mandarli nel mondo (anche se certamente d alcuni sarà importante fare proposte di servizio in oratorio). Dunque occorre avere oratori con uno sguardo sul futuro, che siano esercizio di futuro. Se non c'è questo orizzonte siamo di fronte all'oratorio voliera, in cui per quanto grande sia la voliera prima o poi ci si scontra con la gabbia.
La croce è ispirazione e sotto di essa vi erano figure dedicate: Maria, le donne e Giovanni. Quel giorno Pietro non era sceso a fare oratorio. L'augurio è di fare oratorio sotto la croce: un volto amato uno per volta, uno a uno: dedizione che nasce da ispirazione.
don Luca Ramello
direttore pastorale giovanile di Torino e di Piemonte e Valle d'Aosta
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