venerdì 26 febbraio 2016

6. Oratorio: palestra di vita quotidiana


Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Gli strumenti e il linguaggio dell’oratorio sono quelli dell’esperienza quotidiana. Finalmente la quotidianità non è banalizzata, ma assunta come centrale. [Lc 2, 40-52]

L’oratorio è grande perché è quotidiano: vicino, a portata di mano, con esperienze magari povere ma reali.
Tempo libero, tempo dell’impegno, tempo dell’espressività, tempo delle attività strutturate… Tutto diventa educativo e non esiste nulla, nella vita dei ragazzi, che possa essere escluso da questa attenzione. Ogni interesse è di per sé educativo e va coltivato in questa direzione. (Don Marco Mori, Presidente del Forum Oratori Italiani)

Gesù prima di cominciare la sua missione si è preparato. Una missione speciale aveva bisogno di una preparazione speciale. Gesù per 30 anni è andato a scuola di quotidianità, è stato nelle cose semplici, umili, in famiglia, al lavoro. Questo ci dice che importanza ha la quotidianità e soprattutto che valore può avere una quotidianità vissuta dando il meglio anche quando non si è sotto i riflettori o davanti a una platea.
I nostri ragazzi invece crescono con la sfida di dover stupire tutti e quando pian piano diventano meno affascinanti agli occhi degli adulti (basti pensare a quanto cattura i nostri sguardi un bambino che a malapena comincia a camminare e come invece quello sguardo cambia quando guardiamo un ragazzino delle medie irriverente) crolla un mondo di vane certezze e comincia la scoperta di se stessi, o nel bene o nel male. L’oratorio ci aiuta a dare senso al quotidiano perché è palestra di vita semplice e scuola di comunità: si impara attraverso le risate e le litigate, si impara attraverso gli errori e i piccoli successi, quelli che non noterà nessuno se non quei pochi presenti.
Abbiamo bisogno di contaminare le nostre giornate di vita in pienezza che non si arrende davanti alle paure e alle difficoltà che nascono dal condividere uno stesso luogo (l’oratorio) con anche dei ragazzi maleducati che probabilmente non hanno una famiglia salda alle spalle.
Abbiam bisogno dei giorni di tutti i ragazzi del nostro quartiere!
È una sfida che ci scomoda. Meglio metterli davanti all’ultimo modello della Playstation o al tablet comprato per la scuola. Può essere: ma “stretta è la porta e polverosa è la via che conduce alla salvezza e quanti pochi quelli che la vogliono percorrere”.
I ragazzi hanno bisogno di una dimostrazione della fede e del coraggio di noi adulti, comunità (in teoria) educante.

giovedì 25 febbraio 2016

5. Oratorio: sintesi fra fede e vita



«Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. [Mt 5, 13-16]

L’oratorio serve a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. Qualcosa abbiamo già detto, ma qui occorre riflettere ancora più in profondità. Infatti qui viene presentato il modo con cui l’oratorio compie l’annuncio evangelico: non è un’azione particolare ma il modo con cui si riveste ogni azione che si fa in oratorio.
Due caratteristiche che sono lontanissime dalla nostra cultura: la sintesi e l’armonia. La vita dei ragazzi non cerca la sintesi, ma l’esperienza continuamente rinnovata; non cerca nemmeno l’armonia ma le sensazioni forti. Questa è la sfida dell’oratorio: dare la possibilità ad ogni ragazzo di toccare con mano che la fede non è qualcosa di noioso ma un centro vitale che può dare consistenza e senso.
In realtà far toccare con mano la bellezza del Vangelo significa aiutare il ragazzo a dare consistenza alla sua vita: non solo scelte dettate dal momento, ma volute e desiderate per vedere la vita come la vedeva Gesù, per amare come Lui. (Don Marco Mori, Presidente del Forum Oratori Italiani)

Sotto l’aspetto annoiato dei nostri ragazzi, al di là del loro perder tempo davanti a tante cose futili da parte dei nostri giovanissimi, si nasconde un potenziale che occorre canalizzare e sprigionare. Ciascuno ha un sale per cui insaporire la vita (propria e degli altri), ciascuna vita è luce, luce che splende: il problema non è accenderla ma metterla dove può far luce. Ecco che scatta l’esigenza di ingaggiare i ragazzi delle superiori perché possano fare delle loro vite saporite e non insipide, vite che portano luminosità e sana vivacità e non vite rabbuiate e desolate dalla noia di non saper di essere importanti…anzi, unici.
Non dobbiamo aver paura dei “no” che di potrebbero dire. Dovremmo aver paura dei “no” che mettiamo noi per loro senza nemmeno consultarli perché in fondo non li riteniamo in grado oppure “poverini sono stanchi da tutte le cose che già devono fare”. Se anche fosse lasciamo a loro la libertà di pensarci e rispondere. Diamo occasioni di crescita, sfide che intaccano la quotidianità. Trattiamoli da ragazzi delle superiori: ci si impegna perché possano superare dignitosamente l’esame di maturità (di maturità) ma per ingaggiarli per un’impresa come il servizio comunitario in oratorio aspettiamo l’estate perché come farfalle si trasformino in animatori fantastici. Ed è così. Ma allora investiamo noi prima di tutto in questa palestra di servizio, palestra di pazienza, palestra di sguardi di fiducia. Se noi adulti per primi svalutiamo queste competenze chissà mai che messaggio trasmettiamo ai ragazzi.
Osiamo proporre loro di “perder del tempo” trafficando i loro talenti e forse avremo scoperto una “banca” fruttuosa per la stessa loro vita. E questo non è Vangelo? Non è mescolare la vita col Vangelo perchè il Vangelo trasformi la vita in Vita?

mercoledì 24 febbraio 2016

4. L'oratorio è volto e passione educativa della comunità

“Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno gia volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,  i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».  Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.” (Lc 24, 28-29)

L’oratorio si adatta ai diversi contesti.
Ogni oratorio unico e irripetibile: nessuna situazione è così povera da non poter avere un oratorio e nessuna comunità è impedita ad educare con lo stile dell’oratorio. Anzi: un oratorio è vero nella misura in cui non copia dagli altri strutture, ambienti o attività, ma si sforza di pensare e progettare se stesso in relazione alla situazione del proprio paese, del proprio quartiere, dei propri ragazzi o educatori. 
L’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità. Che l’ambiente oratoriano funzioni come cartina tornasole della comunità è esperienza assolutamente reale: là dove esiste passione educativa, pur in mezzo ad una miriade di problemi, cresce la fede, la fiducia.
Ci salva solo una rinnovata voglia di essere educatori con uno stile preciso fatto di coinvolgimento delle persone. La prima ricchezza di un oratorio coincide con la qualità delle persone che fanno comunità educativa.
Animatori, catechisti e genitori. È lo stile di relazione educativa fra i diversi soggetti e quindi le diverse attività che fa dell’oratorio una casa educativa. L’oratorio non è una scatola che tiene insieme più cose e più persone, ma un progetto, cioè la possibilità che ognuno trovi il proprio posto ma per costruire qualcosa di unico e insieme. Avere un progetto e farlo diventare alfabeto comune di tutti gli educatori permette a ciascuno di assumere un ruolo educativo che trasfigura la propria dignità: non importa cosa faccio, ma il fatto che ciò che compio riesce a costruire qualcosa di più grande e di più bello di me, perché nulla è inutile e tutto è prezioso. (Don Marco Mori, Presidente del Forum Oratori Italiani)

Che grado segna il termometro della nostra passione educativa? Abbiamo un cuore pulsante e pensante oppure freddo e distante? Un cuore pronto a dilatarsi oppure soffriamo di sclerocardia?

Sentiamo che tutte queste domande e provocazioni ci fanno bene perché ci fanno tenere desti sul da dove partiamo, dove stiamo andando e come stiamo procedendo oppure ci provocano rancore e angoscia?

mercoledì 17 febbraio 2016

3. L'oratorio rende i laici protagonisti

Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
(Lc 24, 22-27)

L’oratorio rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. L’oratorio, in particolare, sprona al protagonismo dei giovani, un protagonismo opposto ai quello espresso e richiesto dai talent show: in oratorio a ciascuno deve essere riconosciuta la propria dignità, e dignità educativa. È palestra di vocazioni educative. Il protagonismo è di casa in oratorio ed è un protagonismo popolare, cioè per tutti. Ma non banale: infatti è educativo, cioè fa coincidere la soggettività di chi vuole dare tempo e fatica con la sua responsabilità nei confronti degli altri.
La possibilità di essere soggetti attivi in oratorio coincide con la capacità di donare qualcosa di sé per gli altri, soprattutto per chi sta crescendo: ciò rende bello e affascinante l’ambiente dell’oratorio, con la possibilità di un contagio reale di questa logica soprattutto nei ragazzi, i quali diventano educatori perché vedono intorno a sé tanta gente diversa nelle storie, nelle capacità, nelle competenze ma che fa, in modi diversi, l’unica cosa necessaria che consiste nel donarsi agli altri. (Don Marco Mori, Presidente del Forum Oratori Italiani)



Ci rendiamo conto che il Signore oggi ci chiede di essere, come laici e quindi battezzati e quindi discepoli del Risorto, collaboratori con ministeri seppur diversi ma complementari dell’azione di evangelizzazione della Chiesa?
Come può l’oratorio di Regina Pacis mettere a frutto l’essere sacerdoti, re e profeti dei suoi laici oggi?
Come dimostriamo la nostra fiducia nei confronti dei ragazzi delle superiori? Siamo in grado di lasciare loro degli spazi in cui abitare, da un lato, e servire con creatività, dall’altro, in oratorio?
Siamo in grado di farli sentire a casa: un luogo che sta a cuore e a cui chiediamo una responsabilità maggiore nel prendersene cura man mano che crescono?

Oppure siamo timorosi degli sbagli che potrebbero commettere, dei muri che potrebbero sporcare accidentalmente, della confusione che inevitabilmente farebbero, del disordine che creerebbero durante il loro soggiorno, del rischio di qualche parolaccia di troppo sentita echeggiare, ...?

lunedì 15 febbraio 2016

2. L'oratorio accompagna le nuove generazioni

“Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.” (Lc 24, 17-21)

L’oratorio nelle nostre comunità è casa per i giovani e va mantenuta questa direzione. È facile intravvedere una serie di nuovi bisogni educativi che tutte le generazioni stanno vivendo. I nuovi mezzi di comunicazione elettronici, la massiccia presenza di ragazzi immigrati, gli orari della vita cambiati, la gestione di situazioni particolari nelle famiglie…
La comunità dell’oratorio porta avanti silenziosamente un’integrazione intelligente e costruttiva tra la tradizione e l’innovazione, tra l’accoglienza delle esigenze che si rinnovano e il mantenimento di ciò che abbiamo costruito di utile e di bello e che va trasmesso a tutti. Non è poco. (Don Marco Mori, Presidente del Forum Oratori Italiani)

Come oratorio di Regina Pacis ci sentiamo interpellati dai nuovi bisogni delle nuove generazioni?

Pensiamo che siano cose importanti ma che non ci competono oppure, nonostante il non essere degli esperti, pensiamo che ci competa dare un esempio, un certo stile, entrare senza paura dentro a tali problemi, sì delicati, ma che hanno bisogno di essere vissuti?

venerdì 12 febbraio 2016

1. L'oratorio accompagna con lo stile del Risorto


Ed ecco, in quello stesso giorno  due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». (Lc 24, 13-17)

Accompagnare. È il verbo usato per sintetizzare l’intuizione educativa ma con uno stile preciso: accogliere, affiancare, camminare insieme, non sostituirsi nel cammino, aspettare, sollecitare, responsabilizzare, rendere protagonisti, proporre, rileggere insieme.
L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale. Non divide l’uomo dalla sua spiritualità, non crea scissione tra ciò che è della persona e ciò che è del Vangelo. È luogo di sintesi e di incontro anche tra le diverse dimensioni personali che nella nostra cultura vengono spesso presentate come escludenti o, almeno, indifferenti le une alle altre.
L’oratorio dovrebbe offrire questa possibilità: per questo risulta enormemente significativo là dove riesce a creare una sintesi tra vita e fede, un collegamento tra sentimenti e ragione, tra divertimento e responsabilità… Non ci mancano i percorsi educativi, forse ne abbiamo fin troppi; ci mancano i luoghi di sintesi tra i percorsi educativi: l’oratorio si muove dentro questa pretesa e assume questa sfida.
Come oratorio di Regina Pacis siamo in grado di assumere questo stile? Siamo consapevoli della sfide che questo stile incorpora? Prevale la paura di perdere il controllo o la consapevolezza di essere ispirati dal Signore?

Come oratorio di Regina Pacis siamo consapevoli del fatto che l’oratorio sia luogo di evangelizzazione? Siamo consapevoli che il Signore passa attraverso l’incontro con la vita dei ragazzi? Oppure prevale il separare ciò che sono i percorsi di fede (ritenuta come unica evangelizzazione) dal tempo passato (e se mai talvolta sprecato) da parte dei ragazzi fra le mura dell’oratorio?
CIRI

martedì 9 febbraio 2016

L'oratorio è simile a ...

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». (Mc 4, 30-32)

Dire cosa è un oratorio è allo stesso tempo semplice e difficile. Non possiamo dire che all’oratorio si può far tutto, che all’oratorio non ci sono pretese, che l’oratorio sia uno spazio come un parco nel quale vado e mi diverto con gli amici ma con la “certezza” che, a differenza di un parco, sia un luogo più sicuro, vigilato, controllato. Se questo fosse l’oratorio, cambierei mestiere: ci sarebbe poca differenza dal “Paese dei Balocchi” di Mangiafuoco, no? Ma noi desideriamo crescere degli asini o educare dei ragazzi a vivere in pienezza la loro vita?
Ecco perché mi sembra utile prendere un po’ di tempo e cominciare a condividere con voi alcune riflessioni sull’oratorio. Riflessioni perché siamo proprio come allo specchio: quale riflesso mostra il nostro oratorio, l’oratorio di Regina Pacis? Questa è la domanda che continuamente dobbiamo andare a scavare al fine di trovare la fonte a cui anela la nostra sete, sete di educazione.
Grazie a questo spazio web, possiamo davvero generare un pensiero, interrogarci, aprirci all’ascolto. Se è chiaro che le relazioni vivono e crescono di incontri reali che un blog non permette è anche vero che questo strumento ci dà la possibilità di diffondere tali riflessioni con un raggio molto più esteso.
Forse sarà come un seme caduto sulla strada, forse come un seme caduto fra le pietre o fra i rovi…forse sarà come un seme caduto sul terreno fertile, accogliente e che porta frutto. Di quale frutto stiamo parlando? Del discernimento comunitario: una comunità che si lascia interpellare e si apre all’ascolto dello Spirito per prendere in mano la storia, in questo caso la vita del suo oratorio, e farla fiorire come il Signore desidera. Non possiamo permetterci di lasciar le decisioni a pochi addetti ai lavori e tanto meno di evitare di prenderne affatto: l’oratorio è espressione di una comunità di discepoli di Gesù, una comunità che punta gli occhi sulle giovani generazioni con uno sguardo di
benevolenza e di speranza, sapendo che da questo sguardo esse potranno trarne vita, una vita che vale la pena di essere vissuta e donata per il meglio.

Dunque a cosa potremmo paragonare l’oratorio? E in particolare l’oratorio di Regina Pacis?

mercoledì 3 febbraio 2016

Ma l'oratorio....che cosa è?

L’oratorio «accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative.
Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita.

I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio». (Educare alla vita buona del Vangelo, n.42)