lunedì 13 agosto 2018

Accoglienza e fraternità, le fondamenta dell'oratorio - PE/3

"Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio" 
(Evangelii Gaudium, 176)

Siamo giunti al secondo passo del prog
etto oratori in cui tratteremo dei valori fondamentali su cui si erge l'architettura dell'oratorio e allo stesso tempo quei valori che intende trasmettere alle nuove generazioni.
L'educazione e l'evangelizzazione vengono trasmessi attraverso un linguaggio proprio dell'oratorio che è la creazione di relazioni libere e liberanti, il più simile possibile a quelle del regno dei cieli, relazioni che sanno vivere e far vivere l'accoglienza e la prossimità da un lato, e la fraternità e la comunione dall'altro.

Accoglienza e prossimità. Queste prime due parole ci indicano anzitutto che l'oratorio per essere tale deve avere qualcuno al suo interno che possa aprire le porte verso l'esterno al fine di essere vicino a chiunque passi di lì quel giorno. Ci ricorda Papa Francesco che "la Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte. [...] A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà. [...] La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre". (EG 46-47)
Il recente documento di preparazione al prossimo Sinodo sui giovani (Instrumentum Laboris) al n. 68 indica che i giovani desiderano una Chiesa "meno istituzionale e più relazionale", capace di "accogliere senza giudicare previamente", una Chiesa "amica e prossima", una comunità ecclesiale che sia "una famiglia dove ci si sente accolti, ascoltati, custoditi e integrati". 
Ecco allora l'oratorio, casa fra le case (come soleva chiamarlo san Giovanni Paolo II) è chiamato a educare, a evangelizzare con una porta che si apre e con educatori che si mettono al fianco dei ragazzi per accompagnarne i processi di crescita, fatti di quotidianità.

Fraternità e comunità. Non sono due sinonimi per l'esattezza. Il primo vocabolo ci induce a credere che dicendo "Padre nostro" chi mi sta a fianco sia un mio fratello, e io lo sia per lui. E, si sa, gli amici te li scegli, i fratelli no. La fraternità è la consapevolezza di non essere superiori agli altri. San Francesco (maestro di fraternità) insegnava ai suoi a essere addirittura minori nei confronti di chiunque altro. Il Papa direbbe che si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste [...] senza stancarci mai di scegliere la fraternità. (EG 91)
Se, dunque, la fraternità è anzitutto uno stato di fatto (credere di essere fratello di altri fratelli) la comunità deriva dal mettersi in comunione, ovvero dal mettere in comune chi siamo. In oratorio la comunità si esprime su diversi livelli. In primis l'oratorio è un luogo di incontro per stare in gruppo, per formare un gruppo, per sentirmi parte di un gruppo. Un gruppo, ovvero un insieme di persone che sono bene o male sempre le stesse e di cui io ne faccio parte, con le quali passo del tempo assieme svolgendo qualche attività con il medesimo obiettivo. Tutto quanto accade entro le mura dell'oratorio durante un pomeriggio è caratterizzato da questo stare insieme, fianco a fianco: i compiti sono concepiti con l'intento di trafficare i talenti in un contesto di cooperazione (e non di competizione o di subordinazione), la merenda non è un take-away da consumarsi individualmente ma la condivisione di un (piccolo) pasto, il gioco in cortile libero oppure quello organizzato si articola in un intreccio di relazioni talvolta complesse da gestire ma che creano qualcosa di nuovo. Tuttavia, in oratorio si respira anche una comunità non sempre visibile: chiunque entri, cristiano o no, sa perfettamente che è un luogo abitato anche da altre persone, di altre età, con altri intenti, che si rifanno a quel Gesù Cristo che tanti affascina col suo amore incondizionato. E questo sentore li aiuta a crescere in un'ottica di corresponsabilità e dice tanto di un mondo adulto che ancora esce di casa per incontrarsi a pregare, a far servizio o a stare in compagnia, il tutto in un ambiente che aiuta a far...comunità. "Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!" (EG 92)

Ecco allora che l'oratorio usa il linguaggio delle relazioni per evangelizzare. E per far ciò prende esempio dall'esempio del suo Maestro e dalle parabole sul Regno che egli stesso narrava.

«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt 7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’ «uscita da sé verso il fratello» come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio. (EG 179)

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