mercoledì 8 marzo 2017

Oratorio, strumento della pastorale giovanile


Prof Marco Moschini

L’oratorio non ha un unico modello possibile perché si modula sulle esigenze dei ragazzi id un territorio: è luogo di una pedagogia informale. Il vero luogo dell’oratorio è la relazione.

L’oratorio è strumento di

-          Ascolto

-          Ricerca di risposte

-          Esperienze

Per dirla in altri termini, l’oratorio è strumento di annuncio e testimonianza. Esso mette al centro la persona: non è cosa per niente scontata. È vettore di senso civico e di attivazione della coscienza: aiuta a restituire una dimensione comunitaria che stiamo perdendo in nome di un individualismo che detta le scelte forti della vita.

L’oratorio è missione della Chiesa nell’accoglimento dei ragazzi stranieri e non cristiani: significa dire e dirsi chi si è, la propria identità. Anche alcuni ragazzi che stanno bene (a soldi) al mondo sono in realtà persone malconce: dobbiamo imparare a riconoscere il povero.

L’occhio vuole sempre attento alla relazione.

venerdì 3 marzo 2017

Generare la fede, generare una vita di fede

Seconda relazione del Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile 2017

 L'atto generativo è fisico, morale e spirituale. Vi sono tre nemici dell'atto generativo: l'isolamento; la paura e il pregiudizio; infine, la fretta del risultato. educare i giovani è un gioco di squadra. L'"educatore-chioccia" è un battitore libero che non rende liberi i suoi ragazzi. Gesù lascia sempre liberi di seguirlo. Le pecore da pascere sono di Dio, non mie.
Occorre custodire la comunità per preparare i ragazzi alla missione. se la comunità prepara alla missione allora è generativa.
la comunità cristiana può essere intesa in tre modi:
- l'insieme degli operatori pastorali
- l'insieme di chi partecipa all'Eucarestia domenicale
- l'insieme dei battezzati che abitano in un certo territorio

Ogni parrocchia offre un volto specifico della Chiesa e, dunque, anche una missione specifica.
"Educare è cose di cuore" soleva ripetere don Bosco. Ciò implica che per educare occorre un ascolto cordiale e un incoraggiamento dei giovani.
Spesso rileggiamo il passato con una veste angelica mentre il presente dei giovani con una veste diabolica: gli educatori devono educare anche la comunità cristiana nel restituire un volto più reale dei giovani.

La comunità della parrocchia deve allora allargarsi anche ai non battezzati. Educare è allenare i ragazzi ad amare il sentiero: accompagnare il cammino e farlo vedere nella sua bellezza. L'educatore non aspetta, infatti, i ragazzi alla meta ma li affianca, li aspetta, li esorta e racconta le proprie fatiche, mettendosi sempre in ascolto della vita dei ragazzi.
Il gioco dell'oca è simbolo della pastorale dinamica, che risponde al ritmo del tempo e non allo spazio da riempire. L'educatore non è un fotografo ma un regista: non giudica ma accompagna le evoluzioni e gli sviluppi dei ragazzi.
Gesù lavorava in equipe: avrebbe lavorato molto meglio da solo. Occorre passare da una prima persona singolare a una prima persona plurale.

Mons. Erio Castellucci - Vescovo di Modena


martedì 28 febbraio 2017

Quale adulto per un’educazione possibile?


Di ritorno dall’esperienza del Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile ho pensato a come condividere in maniera utile ma leggera gli interventi ascoltati. Ho pensato di scrivere sul blog la sintesi dei miei appunti. È dunque un misto fra ciò che sta detto e ciò che ho raccolto: il mio punto di vista, i miei vissuti, le mie intuizioni si fondo a ciò che è stato detto. Ricordiamoci che ogni buon racconto chiede di essere ascoltato, meditato e interpretato. Di seguito la sintesi del primo incontro. (Gli atti del Convegno sono scaricabili dal sito della Pastorale Giovanile Nazionale)


Dott. Vittorino Andreoli  (psichiatra)

Cura significa occuparsi non di un sintomo di un uomo, ma significa occuparsi dell’uomo tutto intero fatto di corpo, mente, relazioni. Attesa significa non perdere la speranza nell’uomo. Se manca l’attesa non c’è spazio per la speranza. Un uomo può cambiare. Non dire mai che un adolescente è perduto. Se siete educatori dovete amare l’attesa e occorre trasmetterne la logica.

Educare significa insegnare a vivere: oggi ci sono ragazzi che non sanno vivere. Dovete fare amare cosa è la vita: questo è il centro dell’educazione. Il dolore è parte del mistero della vita: abbiamo cresciuto una generazione che non tollera il dolore. È la relazione che definisce il ruolo dell’educatore: non è uno status acquisito una volta per sempre. Educare è incontrare il profondo che è nell’altro ed è un continuo inventar piste per raggiungerlo.


L’adulto oggi è in crisi. Crisi significa un conflitto fra essere e voler essere, fra l’io attuale e l’io ideale. L’educatore è un uomo in crisi e questa aiuterà l’educatore: questa è la grandezza dell’educazione alla e della fragilità. La fragilità è una condizione esistenziale, dice di un uomo che si fa domande e non trova riposte dentro di sé. Un educatore è bene che senta i suoi limiti: una fragilità opposta al potere. La gioia riguarda il noi e non l’io. In una società dove domina l’invidia occorre trasmettere la gioia del noi.

Il legame si differenzia dall’emozione perché fa sentire la presenza dell’assenza. Gesù è l’esempio più straordinario di uomo fragile: “Ho sete”. C’è qualcosa di più umano di avvertire sete?

venerdì 17 febbraio 2017

L'attesa e la cura


Questo è il titolo del Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile che si terrà da lunedì 20 a  giovedì 23 febbraio a Bologna, al quale sono stato invitato a partecipare dal Servizio di Pastorale Giovanile Diocesana.
Sono molto contento di partecipare finalmente e per la prima volta a questa settimana in cui chi occupa posizioni di responsabilità sul cammino dei giovani a livello nazionale si prende il tempo per riflettere sui percorsi delle giovani generazioni, sul come prendercene cura qui e oggi.
Porterò con me l’esperienza che sto facendo nella vostra (nostra) unità pastorale di Santa Maria degli Angeli, con tutti i suoi oratori così diversi fra loro e così unici, ma soprattutto con i vostri volti, in particolare dei giovcnia. Avere quasi una settimana in cui fermarmi e stare in ascolto non potrà che essere fecondo sia per me che per tutta la comunità.

Salvami dalla presunzione di sapere tutto, dall’arroganza di chi non ammette dubbi; dalla durezza di chi non tollera ritardi; dal rigore di chi non perdona debolezze; dall’ipocrisia di chi salva i principi e uccide le persone. Trasportami, dal Tabor della contemplazione, alla pianura dell’impegno quotidiano. E se l’azione inaridirà la mia vita, riconducimi sulla montagna del silenzio. Dalle alture scoprirò i segreti della “contempl-attività”, e il mio sguardo missionario arriverà più facilmente agli estremi confini della terra” [don Tonino Bello, Preghiera dell’Educatore]

Queste parole scritte da don Tonino Bello rispecchiano lo spirito con cui cercherò di vivere questi giorni per poi tornare con maggiori consapevolezze, idee più accurate e lo sguardo più attento. L’attesa e la cura infatti sono due prospettive che ogni educatore dovrebbe coltivare. Attendere i ragazzi, attendere che decidano di mettere in gioco i propri talenti, attendere che arrivino i primi fragili frutti, attendere che un’intera comunità si apra all’altro, al diverso. La cura di chi si fa prossimo, la cura di chi decide di affiancare il cammino di altri partendo in punta di piedi, la cura come medicina per educare alla vita buona del Vangelo, la cura come gesti e attenzioni che decentrano da sé per aprirsi al mondo altrui.
Al centro di ogni azione educativa vi è la relazione: la relazione con gli altri, con se stessi, con Dio. O le tre dimensioni vanno insieme o non vanno. La relazione a poco a poco rende per te l’altro unico e non più uno come tanti. Che bello sarebbe se ancor di più l’oratorio diventasse per tutta la comunità dei cristiani la casa delle relazioni libere e liberanti, ovvero in cui si sperimentano l’attesa e la cura.

ciri



martedì 3 gennaio 2017

Casa del Giovane, casa di fratelli

Ciò che è chiesto a alla comunità cristiana non è di costruire un “paese dei balocchi” in cui consentire ai ragazzi e ragazze di “bestemmiare il tempo” – espressione di don Milani
[Marco Uriati, parroco del Corpus Domini di Parma]

Mentre scrivo queste righe sono alla Casa del Giovane ed martedì 3 gennaio, il primo giorno di fraternità coi ragazzi delle superiori. Se c’è una cosa che tengo sempre a mente come educatore è il rischio che i progetti pensati diventino una sorta di “paese dei balocchi” in cui i ragazzi, anziché imparare l’arte di diventare uomini e donne, imparino a diventare degli asini. L’altro rischio è estremo a questo: creare percorsi solo per una élite di ragazzi, trascurando chi non sarebbe presumibilmente all’altezza.


Fortunatamente non è ciò che vedo e sento in questo istante. Alzo la tesa dal monitor e vedo 8 ragazzi intenti a studiare e darsi una mano in un clima di silenzio…sembra quasi di essere in biblioteca (bei tempi in cui studiavo). Sento anche quelli al piano di sopra: circa dieci o più ragazzi che, in maniera forse più vivace, stanno facendo il loro dovere. Ma glielo permetto perché in fondo molti di loro hanno appena lavato e asciugato le pentole con cui hanno fatto da mangiare a pranzo. Già, il cuoco di oggi è stato Ciro, studente dell’istituto alberghiero della città. Inutile dire che è stato promosso anche per domani…prima di iniziare a studiare ha fatto la lista della spesa che poi i ragazzi si divideranno.

È una giornata molto bella. Non solo perché oltre 25 giovanissimi hanno varcato la porta della Casa del Giovane, ma perché si stanno sentendo a casa sia chi è di Codemondo sia chi è la prima volta che vi mette piede (tra cui Ciro). È bello vederli sui tavoloni a studiare insieme nonostante frequentino scuole diverse, gli stessi tavoli su cui abbiamo prima mangiato e letto il Vangelo del giorno. È bello vederli così mescolati eppure provenienti da parrocchie diverse. È bello vederli concentrati ne
l far il proprio dovere con la semplicità e la leggerezza di farsi ogni tanto qualche scherzo o dirsi una battuta, per ri-immergere la testa nei libri.

Ormai sono le 16 e fra poco andrò a preparare il tè che inaugurerà un altro momento: quello del relax e dei giochi di società. Come vedi il tempo per scrivere l’ho quasi finito e già sto pensando e immaginando come andrà avanti questa giornata che si appresta a diventare sera: il sole è orm
ai calato nella parte bassa della finestra alla quale son vicino.

Ho provato a descrivere questa giornata in prima persona, dicendo cosa ho visto…e si vedono anche cose invisibili. Il clima che si sta creando non ha, dunque, niente a che vedere con il “paese dei balocchi” né con una “isola dei famosi”. Qui ci sono giovani che forse anche attraverso questa giornata hanno imparato senza accorgersene a vivere in fraternità, prendendo sul serio e allo stesso tempo solare le proprie responsabilità, sistemando e pulendo quanto usato e sporcato anche da altri, giocando insieme a basket o scoppiando petardi (come i cinni) dopo pranzo, pregando e mettendosi in ascolto di quelle parole che non passeranno cercando di fondare la propria casa sulla roccia.
Dite quello che volete, ma per me oggi è una grande benedizione!

ciri

giovedì 29 dicembre 2016

Oratorio in tempo di Natale

In questi giorni corriamo tutti il rischio di anestetizzarci di troppi cibi succulenti e di troppi (a volte) gesti superficialmente ruffiani. Se invece proviamo a tenere il ritmo delle letture corriamo un altro rischio: quello di incontrare Qualcuno di inaspettato, Qualcuno che ti fa riflettere su tante cose.

Avvento. La Scrittura ci mette davanti la storia di Maria e di Giuseppe (e non solo), due giovani diversissimi fra loro ma capaci di andare oltre all'apparenza, cercando qualcosa (o Qualcuno) che stia oltre a una vita piatta e appagata di affari secondari che non soddisfano la sete di pienezza.

Natale. Il tempo in cui siamo letteralmente immersi offre letture di primo acchito contrastanti fra loro. La nascita di Gesù dove "in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini [...] eppure il mondo non lo ha riconosciuto" (Gv 1). Santo Stefano, il primo donatore degli organi della fede, che non si preoccupa di come o che cosa dire, non si occupa di difendersi ma si svuota per essere colmato di quello Spirito del Padre che parlerà per lui (cfr. Mt 10). San Giovanni Apostolo ci introduce, dopo una corsa a perdifiato, nella tomba dove era stato deposto il corpo di Cristo: e siamo a Natale! E dopo essere entrato "vide e credette" (Gv 20). I Santi Innocenti trucidati da Erode, un re fasullo. A farla franca su tutti gli Erodi di tutti i tempi sembra essere un ragazzo che una volta ancora crede ai sogni, realizza le ispirazioni con le quali Adonai lo visita. La presentazione di Gesù al tempio e l'incontro con un anziano uomo attento ai segni dei tempi che ci invita a lasciarci un po' andare con Dio: "Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti" (Lc 2). La Santa Famiglia di Nazareth che ricorda che la vocazione di una famiglia è essere Chiese Domestiche, come ci invita Papa Francesco: cenacoli di preghiera in cui rinnovare il desiderio di santità.

Come educatore degli oratori di Santa Maria degli Angeli sento due bisogni.
Il primo è quello di spingere i nostri oratori nella corrente del Vangelo, come si spinge una barca su un fiume, lasciando trasportare la dove vuole. Dunque, parafrasando quanto detto prima rendere i nostri oratori case di sognatori, case illuminate e illuminanti, case di servizio e sacrificio, case di energie spese alla rincorsa di una vita in pienezza, case di affido, case di spensieratezza e di responsabilizzazione, case di preghiera e di santità.
Il secondo bisogno è quello di circondarmi di persone che corrano il rischio di lasciarsi trasportare dalla Parola di Dio che fa fiorire la vita anche nel deserto. Vi chiedo di aiutarmi ad aiutarvi per prendere consapevolezza che gli oratori sono chiamati ad accompagnare le giovani generazioni con metodi calzanti alla vita di oggi ma tenendo lo sguardo alla Sorgente, sulle alte vette, dove l'amore del Padre sconfigge ogni paura.

Buon tempo di Natale!

ciri

lunedì 14 novembre 2016

Un pomeriggio di Giubilo

Quando domenica scorsa (6 novembre) sono iniziati ad arrivare la prima famiglia, il primo animatore e i primi bambini per il pellegrinaggio dalla "porta santa" dell'oratorio alla Porta Santa della Misericordia in Cattedrale ho capito che allora non sarei andato da solo come don Camillo alla benedizione del fiume che al seguito aveva solo un cane ("Così Peppone non potrà dire che alla processione non c'era neanche un cane").
Non eravamo molti ma eravamo Chiesa, e questa era la cosa che contava di più. Abbiamo portato tutti nostri oratori, con le loro attività, progetti, volti, sorrisi, impegni, compiti, giochi a immergersi nella Misericordia del Padre.
Una presenza passata inosservata, specie quando siamo passati di fianco al palazzetto dello sport gremito di tifosi dove poco dopo si sarebbe disputata la partita di basket. Tuttavia una presenza concreta e convinta. Facile convincersi quando si è in molto...ma quando i numeri non aiutano tutto il resto si esalta e tira fuori le tue convinzioni e la tua generosità.
I nostri oratori hanno fatto giubileo: ora tocca di vivere questa grazie giorno per giorno con l'impegno di quanti si sentiranno coinvolti!


Grazie a chi ha potuto condividere questo pellegrinaggio e anche a coloro che per ragioni di forza maggiore non hanno potuto partecipare ma che con il pensiero e la preghiera ci hanno accompagnato!



ciri