Siamo ormai al termine dell'Avvento. Sembrava ieri il suo inizio. Fra poche ore festeggeremo il Natale...ma ne siamo consapevoli?
In questi giorni, mentre scambio due chiacchiere coi ragazzi degli oratori chiedo loro se durante le vacanze saranno a casa. Moltissimi partono: diversi albanesi vanno a trovare i parenti, alcuni pakistani vanno a in Germania, Inghilterra, altre regioni di Italia dove vivono i cugini, i reggiani si dividono fra campeggi invernali e settimana bianca. Un Natale tutt'altro che rilassante. Ma, in effetti, leggendo i brani biblici di questi giorni la Bibbia stessa ci presenta una dinamicità pazzesca: Zaccaria che va al tempio, Gabriele che incontra Maria, Giuseppe che non sta nella pelle, Maria che va a trovare Elisabetta, la famiglia di Nazaret che va a Betlemme per censirsi, i pastori che accorrono, i magi che viaggiano...
Tuttavia alcuni restano (come me). Ho lanciato la proposta di tenere aperto un oratorio per le superiori come l'anno scorso i primi giorni dell'anno... Non sembra l'anno buono però. Così ho pensato di fermarmi io e lasciare che chiunque passerà da Regina Pacis (l'oratorio più centrale, aperto e vissuto) i primi giorni dell'anno sia accolto come si deve. Cosa mi aspetta? Incontri, tanti incontri mi auguro.
Se durante il resto dell'anno corro da un oratorio all'altro dell'UP, questo periodo natalizio proverò a stare ad aspettare in oratorio (oltre alle dovute ferie...in famiglia e ad Assisi coi ragazzi di Correggio che seguo). Mi spoglierò delle vesti dell'educatore onnipresente (che non sono) e indosserò quelle che mi si addicono di più, quelle povere di una stalla... d'altronde il Natale non è iniziato così, in una mangiatoia? E chissà che non incontri i "magi", i "pastori" e i "locandieri" di oggi.
Buon Santo e Povero Natale!
giovedì 21 dicembre 2017
giovedì 14 dicembre 2017
Consigli di Oratorio
Un sistema complesso, come spesso si presenta l'oratorio, non può essere gestito secondo il metodo semplicistico di uno che ha in testa tutto e con attorno un folto numero di persone che pendono dalle sue labbra.
In diverse realtà oratoriana è riconosciuta e definita la presenza di un coordinatore (educatore di progetto). Tuttavia l'esperienza suggerisce che non sia lasciato solo, ma che possa contare su una equipe di coordinamento, per evitare la duplice negatività dell'agire autoreferenziale e del peso della solitudine di fronte alle responsabilità. Oltretutto si minerebbe alla base lo spirito di comunione, condivisione e corresponsabilità.
Allo stesso tempo le tante figure educativi presenti nell'ambiente oratoriano non possono essere semplicemente accostate le une alle altre, assecondando la spontanea divisione a gruppi di interesse, che non poche volte hanno dato vita a una competizione interna: la squadra del catechismo, quella dello sport, quella degli animatori, quella della liturgia, ...
L'esigenza di dare una struttura organizzativa all'oratorio si deve confrontare con il delicato ma necessario compito di rendere concreti i suoi valori e le sue finalità, rispettando la sua identità e rispondendo alla sua missione.
A tali caratteristiche corrisponde il Consiglio di Oratorio presieduto dall'educatore di progetto. A tale organismo è doveroso che partecipino i responsabili dei principali "settori" presenti in oratorio, la rappresentazione dei genitori, degli animatori e delle associazioni, il parroco o curato. E' un consiglio che si deve occupare del calendario annuale e dei molti aspetti organizzativi ma è opportuno che dedichi un adeguato tempo alla verifica delle iniziative e allo studio delle problematiche giovanili. E' nel contesto di tale organismo che i responsabili si fanno interpreti fondamentali dell'identità ecclesiale dell'oratorio.
[Tratto da "I ragazzi dell'Oratorio"]
Con queste parole don Claudio Belfiore (esperto di oratorio) ci indica alcune piste per creare dei CdO (Consigli di Oratorio). Nella fattispecie abbiamo provato a descrivere l'organizzazione del progetto oratori della nostra UP con il seguente schema.
Come si vede, il lavoro dei CdO è supportato e preceduto da un duplice lavoro: quello dell'Educatore di progetto (Ciri o chi per lui) e dell'Equipe Oratori, costituito dai giovani universitari che hanno fatto scelta di servizio e di fraternità per questo anno (Arianna, Ilaria e Alex).
Sentiamo la necessità di estendere a una platea maggiore l'invito a partecipare ai CdO, consci del fatto che forse ci sono energie non interpellate che potrebbero invece essere preziose: se ti senti interpellato comunicalo a Ciri.
Con queste parole don Claudio Belfiore (esperto di oratorio) ci indica alcune piste per creare dei CdO (Consigli di Oratorio). Nella fattispecie abbiamo provato a descrivere l'organizzazione del progetto oratori della nostra UP con il seguente schema.
Come si vede, il lavoro dei CdO è supportato e preceduto da un duplice lavoro: quello dell'Educatore di progetto (Ciri o chi per lui) e dell'Equipe Oratori, costituito dai giovani universitari che hanno fatto scelta di servizio e di fraternità per questo anno (Arianna, Ilaria e Alex).
Sentiamo la necessità di estendere a una platea maggiore l'invito a partecipare ai CdO, consci del fatto che forse ci sono energie non interpellate che potrebbero invece essere preziose: se ti senti interpellato comunicalo a Ciri.
martedì 12 dicembre 2017
Orientiamoci III media
Dalla fine di novembre è cominciato un percorso di orientamento alla scelta scolastica prossima per i ragazzi di III media. Tali incontro è portato avanti dagli educatori dei cammini formativi dei ragazzi assieme all'educatore di oratorio, così da permettere anche una eventuale mescolanza culturale e sociale dei ragazzi stessi.
Gli incontri (al lunedì a Regina Pacis e al venerdì a Roncina) sono impostati attraverso una metodologia altamente esperienziale: non ci sono grandi discorsi da ascoltare, ma tante attività ed esercizi per scavare nelle profondità di se stessi, quelle meno accessibili.
L'idea, infatti, è quella di dare ai ragazzi degli strumenti per capire cosa è già seminato dentro se stessi: competenze, talenti, attitudini, desideri, paure e progetti che sono già presenti in loro ma che hanno solo bisogno di essere illuminati e riletti.
Agli incontri stanno partecipando una quindicina di adolescenti, che sempre più si mettono i gioco con se stessi e con il gruppo di coetanei. Ad ogni incontro, infatti, c'è un momento di condivisione in cui ciascuno può sentirsi libero di comunicare ai presenti quando emerso per sé, senza mai che questo diventi un obbligo. Obbligarli a condividere quanto di più profondo si cela nel loro intimo sarebbe una violenza morale e psicologica gratuita e con non porterebbe alcun frutto se non marcio.
Al termine degli incontri non verrà dato alcun consiglio ai ragazzi: siamo convinti che ne abbiano già tanti. Tuttavia ci pare importante ascoltarli a tu per tu: un tempo in cui poter verbalizzare quanto prodotto dagli incontri e dalla rilettura del proprio vissuto. L'ascolto è un canale potentissimo per significare il proprio passato, presente e futuro... ma quanto spesso ce lo dimentichiamo.
Inoltre ci pare importante condividere questo tragitto assieme ai genitori attraverso un incontro di sintesi e per darci qualche linea guida di cosa non fare e di cosa fare come accompagnatori privilegiati dei propri figli.
E tutto questo non è Vangelo? Gesù non era un grande ascoltatore e un grande osservatore? Non illuminava la strada del vissuto delle persone che gli si facevano vicino? Non era un profondo conoscitore dell'anima, ovvero del lato più umano di ciascuno? E se noi educatori e genitori, alla scuola del Maestro, cerchiamo di ripetere nel concreto del quotidiano i gesti del bel Pastore, non stiamo evangelizzando?
Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io".
Gli incontri (al lunedì a Regina Pacis e al venerdì a Roncina) sono impostati attraverso una metodologia altamente esperienziale: non ci sono grandi discorsi da ascoltare, ma tante attività ed esercizi per scavare nelle profondità di se stessi, quelle meno accessibili.
L'idea, infatti, è quella di dare ai ragazzi degli strumenti per capire cosa è già seminato dentro se stessi: competenze, talenti, attitudini, desideri, paure e progetti che sono già presenti in loro ma che hanno solo bisogno di essere illuminati e riletti.
Agli incontri stanno partecipando una quindicina di adolescenti, che sempre più si mettono i gioco con se stessi e con il gruppo di coetanei. Ad ogni incontro, infatti, c'è un momento di condivisione in cui ciascuno può sentirsi libero di comunicare ai presenti quando emerso per sé, senza mai che questo diventi un obbligo. Obbligarli a condividere quanto di più profondo si cela nel loro intimo sarebbe una violenza morale e psicologica gratuita e con non porterebbe alcun frutto se non marcio.
Al termine degli incontri non verrà dato alcun consiglio ai ragazzi: siamo convinti che ne abbiano già tanti. Tuttavia ci pare importante ascoltarli a tu per tu: un tempo in cui poter verbalizzare quanto prodotto dagli incontri e dalla rilettura del proprio vissuto. L'ascolto è un canale potentissimo per significare il proprio passato, presente e futuro... ma quanto spesso ce lo dimentichiamo.
Inoltre ci pare importante condividere questo tragitto assieme ai genitori attraverso un incontro di sintesi e per darci qualche linea guida di cosa non fare e di cosa fare come accompagnatori privilegiati dei propri figli.
E tutto questo non è Vangelo? Gesù non era un grande ascoltatore e un grande osservatore? Non illuminava la strada del vissuto delle persone che gli si facevano vicino? Non era un profondo conoscitore dell'anima, ovvero del lato più umano di ciascuno? E se noi educatori e genitori, alla scuola del Maestro, cerchiamo di ripetere nel concreto del quotidiano i gesti del bel Pastore, non stiamo evangelizzando?
Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io".
giovedì 7 dicembre 2017
Maria, la piena di grazia!
Prima di scrivere questo articolo
confesso di essere andato a vedere cosa avessi scritto circa un anno fa a
proposito del Natale su questo blog: a distanza di un anno ho visto che alcune
mie speranze stanno diventando realtà e questo da serenità anche nel trambusto.
Siamo ormai alla vigilia della
festa dell’Immacolata e oggi (7 dicembre) è il mio compibattesimo: 31 anni da
figlio nel Figlio. Mi chiedo se veramente sto vivendo il mio battesimo, la mia
identità, vocazione e missione. La verità è che siamo in cammino, mai arrivati:
ma che bel cammino! In cammino come Maria, di casa in casa. Un bellissimo libro
di Ermes Ronchi narra tutte le case in cui Maria ha vissuto nei Vangeli: una
Maria umanissima e affascinantissima. Mi piace pensare che in una UP che si è
battezzata Santa Maria degli Angeli, anche i suoi oratori siano case di Marie. Non
saranno narrate nei Vangeli ma potrebbero narrare il Vangelo. Infatti sono
sempre più persuaso che le piccole azioni quotidiane, fatte nella ferialità,
parlino del più bello fra i figli dell’uomo.
Maria, assieme al suo sposo
Giuseppe, ci dona uno stile laicale estremamente evangelizzante: “Povera di
tutto, Dio non ha voluto che Maria fosse povera d’amore” (Ermes Ronchi). Se il
nostro stile educativo oratoriano prendesse sempre più esempio da questa coppia
allora basterebbe entrare in oratorio per respirare dinamiche del Regno dei
Cieli. Ogni oratorio sarebbe vissuto a immagine e somiglianza della casa di
Nazaret, ma anche di quella di Cafarnao, talvolta rassomigliare alla grotta di
Betlemme. Case, oratori in cui non c’è un bel niente di perfetto; ma case,
oratori in cui si impara l’arte di donarsi perché la vita cresca in sapienza e
grazia davanti agli uomini.
I ragazzi hanno bisogno di
persone che siano affascinate da Gesù e lo servano in essi. Hanno bisogno della
presenza tua, fatta di limiti e di talenti. Hanno bisogno di punti di
riferimento…come Maria lo è stata e lo è.
Buona festa dell’Immacolata!
ciri
mercoledì 29 novembre 2017
In arrivo il calendario della UP
Allora abbiamo quello che fa per te: sta per arrivare il
calendario della UP con tante foto sugli oratori e non solo!!
Questa iniziativa ha una duplice funzionalità. La prima e
più importante è quella di sentirci tutti più parte dell’Unità Pastorale e di
ciò che accade nei diversi oratori: chi li vive, come li vive, sorrisi,
fatiche, sfide, gite, campeggi e tanto altro verrà raccontato attraverso le
foto (arrivatemi da più persone e impaginate egregiamente da Tita). La seconda
ragione è quella di autofinanziare i progetti oratoriani: nonostante la
bellezza e la vivacità che si respira in oratorio durante la settimana non
possiamo dimenticarci dei costi che ne derivano.
La vendita avverrà nei pressi giorni di Natale (quanto prima
riusciamo) e per ora ne abbiamo ordinate un centinaio di copie ma sappiamo che
molti altri potrebbero esserne interessati. Niente paura: se rimanessimo senza
ne ordineremo altre copie…basta saperlo!
Ringrazio fin da adesso chi vorrà alimentare la speranza che
deriva dai progetti che attraverso l’oratorio accompagnano i ragazzi a un
processo di crescita umana e spirituale di qualità.
PS: Per prenotare delle copie del calendario scrivete a ciri46@hotmail.it
Ecco il contenuto della Carta del Sinodo sugli Oratori
“Per
essere fedeli al Vangelo e fedeli ai giovani occorre tenere presente che una
pastorale giovanile ordinaria si compone di:
-
cammini formativi di gruppo: dove si esprime l’accompagnamento personale
e costante, settimana dopo settimana, anno dopo anno, secondo le esigenze delle
età dei ragazzi coinvolti e secondo una progettualità e una gradualità
progressive negli anni
-
esperienza di oratorio: dove per oratorio si intende, più che un
luogo, uno stile educativo totalizzante, che mira a mettere al centro il
ragazzo anche attraverso la valorizzazione dei suoi talenti e dei suoi gusti,
creando opportunità e spazi educativi per far vivere lo sport, l’animazione, la
musica, il teatro, la scuola da protagonisti creativi, in un vero e proprio
laboratorio dei talenti”
[Servizio di
Pastorale Giovanile diocesana]
Evangelizzare con e in oratorio
“L’oratorio,
in quanto espressione educativa della comunità ecclesiale, condivide con essa
il desiderio e l’urgenza della missione evangelizzatrice, che «consiste nel
realizzare l’annuncio e la trasmissione del Vangelo» e insieme «annunciare il
Signore Gesù con parole e azioni, cioè farsi strumento della sua presenza e
azione nel mondo»
[…]
Tali percorsi, nella loro diversità e ricchezza, si caratterizzano per uno
specifico stile di evangelizzazione, possibile e tanto più efficace quanto più
attua le seguenti condizioni:
-
la testimonianza di fede in una concreta comunità cristiana da
parte di coloro che animano l’oratorio
-
l’inserimento del ragazzo e del giovane in un’esperienza
oratoriana che è allo stesso tempo cammino personalizzato e comunitario
-
l’accoglienza progettuale del ragazzo e del giovane, rispettati
nel loro percorso storico di vita e nei loro interessi espressivi e ricreativi,
ma insieme pro-vocati e sollecitati nel loro cammino di crescita e maturazione
verso la pienezza di maturità in Cristo
-
la possibilità di percorsi graduali e differenziati”
[Laboratorio
dei talenti, Vescovi Italiani]
Pertanto
sogniamo un oratorio...
·
in grado di costruire relazioni positive (prosociali) e in esse
vivere il Vangelo, prendendo esempio dalle prime comunità dei discepoli che
vivevano le dinamiche del regno dei Cieli condividendo tutto, a partire dal
proprio tempo
·
che evangelizzi più nel modo di stare insieme che con le parole,
utilizzando i linguaggi propri che gli appartengono: nell'accoglienza senza
pregiudizi, nel gioco di squadra, nella collaborazione durante lo studio, nelle
attività di riflessione e catechesi, nella merenda come pasto condiviso
·
capace di portare il Vangelo anche all'esterno, tenendosi in
costante apertura con la strada per capirne i bisogni e costruire proposte di
cammino in grado di prevenire disagi
·
portato avanti da testimoni del Risorto, educatori in grado di far
la differenza e dare unitarietà alle diverse attività che si svolgono,
dall’Eucaristia alla partita di calcio.
“L’oratorio
è l’espressione della comunità ecclesiale che, sospinta dal Vangelo, si prende
cura, per tutto l’arco dell’età evolutiva, dell’educazione delle giovani
generazioni.
[…]
L’oratorio educa ed evangelizza, in un contesto ecclesiale di cammino
comunitario, soprattutto attraverso relazioni personali autentiche e
significative. Esse costituiscono la sua vera forza e si attuano sia attraverso
percorsi strutturati sia attraverso espressioni informali. L’attuale emergenza
educativa è letta da più parti come esito di un impoverimento delle relazioni
educative personali.” [Laboratorio
dei talenti, Vescovi Italiani]
Pertanto
sogniamo un oratorio...
·
che sia espressione di una comunità cristiana che si prende cura
delle giovani generazioni
·
fatto di animatori ed educatori credibili, con la passione per i
più piccoli, con il desiderio di trascorrere del tempo con loro, senza la
fretta e la freddezza di un servizio da dover portare a termine il prima
possibile. Fatto di “chiamati”: il volontario fa fino a quando vuole, mentre il
chiamato sa che ha qualcosa da dare, che vuole donarsi dando testimonianza a
Colui da cui è stato inviato
·
che far portare a frutto i talenti sia di chi svolge un servizio sia
di chi lo riceve, ponendo particolare attenzione a far leva sui carismi di
ciascuno e non a cercare forze per tappare dei buchi
·
affascinante agli occhi di chi ne entra in contatto, che faccia
incontrare ai più giovani persone con grandi sogni che con fatica e dedizione
sanno trasformarli in realtà
·
in ascolto dei giovani e delle loro idee, dei loro desideri, delle
loro angosce, delle loro sfide quotidiane, delle loro passioni
·
per cui la comunità parrocchiale preghi e dia luogo a momenti di
preghiera nel quale dar forza alla missione oratoriana
Percorsi educativi di
accompagnamento in oratorio
In
oratorio chi arriva nuovo così come chi lo abita da tempo, il ragazzo come
l’adulto, vi trova il suo spazio di espressione e di partecipazione, la
valorizzazione delle capacità, e soprattutto l’opportunità di essere
riconosciuto e accolto come persona. Da una fase iniziale a quella più avanzata
si delinea quel processo di coinvolgimento che spesso induce a sentire
l’ambiente oratoriano come la propria seconda casa, il luogo dove ci si sente a
proprio agio e dove si assumono impegni e responsabilità, dove si impara che
c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35).
[…]
Occorre, inoltre, misurarsi anche con situazioni di grave degrado sociale e
culturale: di fronte a tali contesti, con lo spirito del buon samaritano
l’oratorio si fa “prossimo”, reinventando modalità e iniziative per rispondere
alle nuove emergenze educative.
[…]
Il metodo proprio dell’oratorio è quello dell’animazione, ovvero quello del
coinvolgimento diretto; è un metodo attivo che si caratterizza per il
protagonismo del soggetto e per la notevole carica esperienziale. Esso parte
normalmente da un’attività semplice, dinamica e attraente per comunicare dei
contenuti o stimolare una riflessione.
[Laboratorio
dei talenti, Vescovi Italiani]
Pertanto
sogniamo un oratorio...
·
in cui le attività proposte accompagnino i ragazzi in un percorso
di crescita umana e spirituale, aiutandoli a ragionare sui modi con cui
relazionarsi bene con gli altri e non solamente dando loro ricette
preconfezionate
·
in cui anche attraverso il gioco in cortile i ragazzi non si
sentano mai esclusi come capita spesso in altri ambienti più selettivi: in
oratorio ci si ingegna affinché tutti coloro che lo desiderano possano trovare
spazio
·
che possa essere casa fra le case del quartiere, in cui è più
importante come si vive piuttosto che che cosa si fa, in primis c'è bisogno di
qualcuno che (con il sorriso) accolga chi entra per quello che è e non per
quello che si vorrebbe fosse: il seme porta frutto col tempo, siamo nel campo
dell'accompagnamento lento e graduale
·
in cui vi sia incontro e non scontro fra diverse culture e religioni,
un cantiere di pace in cui poter sperimentare un breve momento quotidiano di
preghiera insieme a inizio delle attività
·
che aiuti i ragazzi a capire che la fede non è possibile viverla
solo in oratorio ma anche fuori: la fede è nel modo in cui ci si rapporta, si
gioca, si prendono le proprie responsabilità, si vive... L’oratorio da una
chiave di lettura del mondo in cui umano e divino si intrecciano e l'uno non
vuole fare a meno dell'altro
Reggio Emilia, 23 novembre 2017
mercoledì 22 novembre 2017
P.A.C.E. PARTECIPA AD INNOVA
Momento dell'incontro al Malaguzzi |
Clara, presidente di P.A.C.E. con la Parlamentare Vanna Iori |
venerdì 10 novembre 2017
Carta del Sinodo
Giovedì 23 novembre ore 21 presso i locali della parrocchia
di San Bartolomeo si terrà la presentazione della Carta del Sinodo sugli
Oratori, una sorta di linee guida emerse dallo scorso Sinodo sugli Oratori dell’UP.
La restituzione e la condivisione di questa Carta sarà il
primo vero passo verso la scrittura di un progetto oratori che tenga insieme
diversità e unicità di ciascun territorio dell’UP ma allo stesso tempo una
visione unitiva del tutto, in particolare nello stile educativo oratoriano.
Durante l’incontro sarà altresì riportato quanto emerso da
una piccola indagine svolta sui giovani delle nostre parrocchie, analisi
importante per capire meglio il tessuto religioso e sociale delle giovani
generazioni con cui entriamo (o non entriamo) in contatto.
L’invito dunque è quello di partecipare a questo incontro,
desiderato fin dal concludersi del Sinodo sugli Oratori di inizio ottobre. Sono
invitati tutte le persone dai 14 anni in su.
Don Paolo e Ciri
mercoledì 8 novembre 2017
VESPRITZ 2017
Materiale utilizzato nel primo VESPRITZ 2017
Documento
Preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul
tema
“I
giovani, la fede e il discernimento vocazionale”
Questo Documento Preparatorio propone
una riflessione articolata in tre passi. Si comincia delineando
sommariamente alcune dinamiche sociali
e culturali del mondo in cui i giovani crescono e prendono le loro decisioni,
per proporne una lettura di fede. Si ripercorrono poi i passaggi fondamentali
del processo di discernimento, che è lo strumento principale che la Chiesa
sente di offrire ai giovani per scoprire, alla luce della fede, la propria
vocazione. Infine si mettono a tema gli snodi fondamentali di una pastorale
giovanile vocazionale. Si tratta quindi non di un documento compiuto, ma di una
sorta di mappa che intende favorire una ricerca i cui frutti saranno
disponibili solo al termine del cammino sinodale.
Sulle
orme del discepolo amato
Offriamo come ispirazione al percorso
che inizia un’icona evangelica: Giovanni, l’apostolo. Nella lettura
tradizionale del Quarto Vangelo egli è
sia la figura esemplare del giovane che sceglie di seguire Gesù, sia «il discepolo
che Gesù amava» (Gv 13,23; 19,26; 21,7). «Fissando lo sguardo su Gesù che
passava, [Giovanni il Battista] disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli,
sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che
essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì –
che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e
vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero
con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,36-39). Nella ricerca del
senso da dare alla propria vita, due discepoli del Battista si sentono
rivolgere da Gesù la domanda penetrante: «Che cercate?». Alla loro replica
«Rabbì (che significa maestro), dove abiti?», segue la risposta-invito del
Signore: «Venite e vedrete» (vv. 38-39). Gesù li chiama al tempo stesso a un
percorso interiore e a una disponibilità a mettersi concretamente in movimento,
senza ben sapere dove questo li porterà. Sarà un incontro memorabile, tanto da
ricordarne perfino l’ora (v. 39). Grazie al coraggio di andare e vedere, i
discepoli sperimenteranno l’amicizia fedele di Cristo e potranno vivere quotidianamente
con Lui, farsi interrogare e ispirare dalle sue parole, farsi colpire e
commuovere dai suoi gesti. Giovanni, in particolare, sarà chiamato a essere
testimone della Passione e Resurrezione del suo Maestro. Nell’ultima cena (cfr.
Gv 13,21-29), la sua intimità con Lui lo condurrà a reclinare il capo sul petto
di Gesù e ad affidarsi alla Sua parola. Nel condurre Simon Pietro presso la
casa del sommo sacerdote, affronterà la notte della prova e della solitudine
(cfr. Gv 18,13-27). Presso la croce accoglierà il profondo dolore della Madre,
cui viene affidato, assumendosi la responsabilità di prendersi cura di lei
(cfr. Gv 19,25-27). Nel mattino di Pasqua egli condividerà con Pietro la corsa
tumultuosa e piena di speranza verso il sepolcro vuoto (cfr. Gv 20,1-10). Infine,
nel corso della straordinaria pesca presso il lago di Tiberiade (cfr. Gv
21,1-14), egli riconoscerà il Risorto e ne darà testimonianza alla comunità. La
figura di Giovanni ci può aiutare a cogliere l’esperienza vocazionale come un
processo progressivo di discernimento interiore e di maturazione della fede,
che conduce a scoprire la gioia dell’amore e la vita in pienezza nel dono di sé
e nella partecipazione all’annuncio della Buona Notizia.
1.
Un mondo che cambia rapidamente
La rapidità dei processi di cambiamento
e di trasformazione è la cifra principale che caratterizza le società e le
culture contemporanee. La combinazione tra elevata complessità e rapido
mutamento fa sì che ci troviamo in un contesto di fluidità e incertezza mai
sperimentato in precedenza: è un dato di fatto da assumere senza giudicare
aprioristicamente se si tratta di un problema o di una opportunità. Questa
situazione richiede di assumere uno sguardo integrale e acquisire la capacità
di programmare a lungo termine, facendo attenzione alla sostenibilità e alle
conseguenze delle scelte di oggi in tempi e luoghi remoti. La crescita
dell’incertezza incide sulla condizione di vulnerabilità, cioè la combinazione
di malessere sociale e difficoltà economica, e sui vissuti di insicurezza di
larghe fasce della popolazione. Rispetto al mondo del lavoro, possiamo pensare
ai fenomeni della disoccupazione, dell’aumento della flessibilità e dello
sfruttamento soprattutto minorile, oppure all’insieme di cause politiche,
economiche, sociali e persino ambientali che spiegano l’aumento esponenziale
del numero di rifugiati e migranti. A fronte di pochi privilegiati che possono
usufruire delle opportunità offerte dai processi di globalizzazione economica,
molti vivono in situazione di vulnerabilità e di insicurezza, il che ha impatto
sui loro itinerari di vita e sulle loro scelte. A livello globale il mondo
contemporaneo è segnato da una cultura “scientista spesso dominata dalla
tecnica e dalle infinite possibilità che essa promette di aprire, al cui
interno però «sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine in cui
cadono le persone, e anche tanti giovani» (Misericordia et misera, 3). Non va trascurato poi il fatto che molte
società sono sempre più multiculturali e multireligiose. In particolare la
compresenza di più tradizioni religiose rappresenta una sfida e un’opportunità:
può crescere il disorientamento e la tentazione del relativismo, ma insieme
aumentano le possibilità di confronto fecondo e arricchimento reciproco. Agli
occhi della fede questo appare come un segno del nostro tempo, che richiede una
crescita nella cultura dell’ascolto, del rispetto e del dialogo.
2.
Le nuove generazioni
La sfida della multiculturalità
attraversa in modo particolare il mondo giovanile, ad esempio con le
peculiarità delle “seconde generazioni” In molte parti del mondo i giovani
sperimentano condizioni di particolare durezza, al cui interno diventa
difficile aprire lo spazio per autentiche scelte di vita, in assenza di margini
anche minimi di esercizio della libertà. Pensiamo ai giovani in situazione di
povertà ed esclusione; a quelli che crescono senza genitori o famiglia, oppure
non hanno la possibilità di andare a scuola; ai bambini e ragazzi di strada di
tante periferie; ai giovani disoccupati, sfollati e migranti; a quelli che sono
vittime di sfruttamento, tratta e schiavitù; ai bambini e ai ragazzi arruolati
a forza in bande criminali o in milizie irregolari; alle spose bambine o alle
ragazze costrette a sposarsi contro la loro volontà. Troppi sono nel mondo
coloro che passano direttamente dall’infanzia all’età adulta e a un carico di
responsabilità che non hanno potuto scegliere.
Appartenenza e partecipazione
I giovani non si percepiscono come una
categoria svantaggiata o un gruppo sociale da proteggere e, di conseguenza,
come destinatari passivi di programmi pastorali o di scelte politiche. Non
pochi tra loro desiderano essere parte attiva dei processi di cambiamento del
presente, come confermano quelle esperienze di attivazione e innovazione dal
basso che vedono i giovani come principali, anche se non unici, protagonisti.
La disponibilità alla partecipazione e alla mobilitazione in azioni concrete,
in cui l’apporto personale di ciascuno sia occasione di riconoscimento
identitario, si articola con l’insofferenza verso ambienti in cui i giovani
sentono, a torto o a ragione, di non trovare spazio o di non ricevere stimoli;
ciò può portare alla rinuncia o alla fatica a desiderare, sognare e progettare,
come dimostra il diffondersi del fenomeno dei NEET (not in education, employment
or training, cioè giovani non impegnati in un’attività di studio né di lavoro
né di formazione professionale). La discrepanza tra i giovani passivi e
scoraggiati e quelli intraprendenti e vitali è il frutto delle opportunità
concretamente offerte a ciascuno all’interno del contesto sociale e familiare
in cui cresce, oltre che delle esperienze di senso, relazione e valore fatte
anche prima dell’inizio della giovinezza. Oltre che nella passività, la
mancanza di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità può manifestarsi in
una eccessiva preoccupazione per la propria immagine e in un arrendevole conformismo
alle mode del momento.
Punti di riferimento personali e
istituzionali
Varie ricerche mostrano come i giovani
sentano il bisogno di figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste,
oltre che di luoghi e occasioni in cui mettere alla prova la capacità di
relazione con gli altri e affrontare le dinamiche affettive. Cercano figure in
grado di esprimere sintonia e offrire sostegno, incoraggiamento e aiuto a
riconoscere i limiti, senza far pesare il giudizio. Da questo punto di vista,
il ruolo di genitori e famiglie resta cruciale e talvolta problematico. Le
generazioni più mature tendono spesso a sottovalutare le potenzialità,
enfatizzano le fragilità e hanno difficoltà a capire le esigenze dei più
giovani. Genitori assenti o
iperprotettivi rendono i figli più fragili e tendono a sottovalutare i rischi o
a essere ossessionati dalla paura di sbagliare. I giovani non cercano però solo
figure di riferimento adulte: forte è il desiderio di confronto aperto tra
pari. A questo scopo è grande il bisogno di occasioni di interazione libera, di
espressione affettiva, di apprendimento informale, di sperimentazione di ruoli
e abilità senza tensione e ansia. I giovani nutrono spesso sfiducia,
indifferenza o indignazione verso le istituzioni. Questo non riguarda solo la
politica, ma investe sempre più anche le istituzioni formative e la Chiesa, nel
suo aspetto istituzionale. La vorrebbero più vicina alla gente, più attenta ai
problemi sociali, ma non danno per scontato che questo avvenga nell’immediato.Tutto
ciò si svolge in un contesto in cui l’appartenenza confessionale e la pratica
religiosa diventano sempre più tratti di una minoranza e i giovani non si
pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal
Vangelo e “senza” la Chiesa, salvo affidarsi a forme di religiosità e
spiritualità alternative e poco istituzionalizzate o rifugiarsi in sette o
esperienze religiose a forte matrice identitaria. In molti luoghi la presenza
della Chiesa si va facendo meno capillare e risulta così più difficile
incontrarla, mentre la cultura dominante è portatrice di istanze spesso in
contrasto con i valori evangelici, che si tratti di elementi della propria
tradizione odella declinazione locale di una globalizzazione di stampo
consumista e individualista.
Verso una generazione (iper)connessa
Le giovani generazioni sono oggi
caratterizzate dal rapporto con le moderne tecnologie della comunicazione e con
quello che viene normalmente chiamato “mondo virtuale”, ma che ha anche effetti
molto reali. Esso offre possibilità di accesso a una serie di opportunità che
le generazioni precedenti non avevano, e al tempo stesso presenta rischi. È
tuttavia di grande importanza mettere a fuoco come l’esperienza di relazioni
tecnologicamente mediate strutturi la concezione del mondo, della realtà e dei
rapporti interpersonali e con questo è chiamata a misurarsi l’azione pastorale,
che ha bisogno di sviluppare una cultura adeguata.
martedì 31 ottobre 2017
FESTA DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI
Molto bella e partecipata è stata la festa degli studenti universitari che si è realizzata domenica in Oratorio. Dopo un culto ecumenico in cui si è lasciato spazio agli studenti presenti, tra i quali la maggior parte provenienti dal Congo, Camerun e Togo e alcuni di loro evangelici, di condividere la Parola di Dio, ci siamo trasferiti nel salone per un momento conviviale
venerdì 13 ottobre 2017
Cortile di Spirito Santo: come pecore senza pastore
Sceso
dalla barca, egli vide una grande folla,
ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore
ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore
[Mc
6,34]
Da
qualche settimana durante il pomeriggio gli spazi esterni
dell'oratorio di Spirito Santo sono frequentati da una moltitudine di
ragazzi delle medie e primi anni delle superiori: fra i 20 e i 40 al
giorno. Mi sarebbe piaciuto scrivere che questi spazi sono abitati
dai ragazzi ma il verbo abitare riconduce al concetto di casa, ma di
casa oggi a questi ragazzi non interessa. Cercano posti dove sfuggire
all'educazione degli adulti, luoghi in cui poter fare quello che pare
e piace, fosse anche dare fuoco a un barattolo di benzina per
“divertimento” (vale a dire noia) con tutti i pericoli annessi
per se stessi e le strutture.
Giovanissimi
allo sbando, alla ricerca di qualcosa che valga la pena di assaporare
come emozione forte e immediata. Adolescenti che si stanno bruciando
lentamente, come quelle prime sigarette che qualcuno di loro accende
per dimostrare di sfidare il mondo. Ragazze e ragazzi che, passando
di strada in strada, sono giunti alle porte di una Chiesa, sulla
pista del suo cortile...quasi per caso. Stanno errando (in tutti i
due sensi che il vocabolario ci indica) ma ora si sono, almeno per
qualche tempo, fermati. Forse ci è dato un compito, oserei dire una
missione: fare tutto quello che possiamo per far in modo che non
siano più come pecore senza pastore.
Sono
entrato in contatto con loro e, nonostante tante volte le pani
comincino a prudere, la maggior parte di loro è simpatica e
semplice: sanno accogliere (a modo loro si intende) e hanno piacere
che ci si faccia loro vicini, ci si interessi a loro.
Da
quando con anche Alex, Arianna e Ilaria li abbiamo incontrati per la
prima volta subito ci ha preso una forte compassione e anche una
abissale paura. Sono proprio i due stati d'animo che permeano nella
prima parte del brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci,
versetti che seguono quelli che introducono questo articolo. La
compassione di vedere adolescenti senza alcuno che stia con loro, che
faccia capire loro che ci sono dei limiti, che la loro vita è
preziosa e irripetibile, che li sproni a dare il meglio e non il
peggio, a impegnarsi e non a lasciarsi andare, a desiderare di volare
in alto anziché sprofondare su una panchina per ore e ore senza
concludere nulla. La paura di non sapere cosa fare, come intervenire,
chi interpellare, che progettualità intraprendere. Ci manca la
comunità ed è soprattutto per questo che scrivo.
Essendosi
ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Questo
luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo
che, andando per le campagne e i vicini, possano comprarsi da
mangiare». Ma egli rispose: «Date loro voi stessi da mangiare».
[Mc 6,36-37]
I
discepoli conoscono tutta la loro impotenza davanti a tanta folla
affamata. Anche questi giovani sono affamati, affamati di profonda
felicità, di legami duraturi e saldi, di sguardi carichi di fiducia
e di paletti da non oltrepassare. Insomma sono affamati di vita. È
la stessa fame ed è la stessa sete che interessa incontrare a Gesù.
Ed è lui che invita i suoi a dare loro stessi da mangiare. Darsi in
pasto agli affamati. Diventare forse anche prede, come pecore in
mezzo ai lupi. Il tema delle pecore è molto caro al Signore: vede i
possibili agnelli di domani nei lupi di oggi. E noi che facciamo? Li
vogliamo “licenziare”? Li vogliamo allontanare perché non creino
problemi? Dovremmo invece capire che questi adolescenti i problemi se
li portano dietro di strada in strada, qualunque essa sia e se oggi
per un qualche strano motivo sono fermi sui nostri pascoli, nel
cortile di un nostro (e dico nostro) oratorio abbiamo il dovere di
fare la volontà di Dio: dare loro noi stessi da mangiare.
Attenzione, non sto banalizzando un martirio. Sto dicendo che come
comunità abbiamo l'obbligo di sporcarci le mani con ciò che non è
bello per renderlo tale. Non dico di lasciarci fare tutto quello che
questi ragazzi vogliono. Al contrario dobbiamo impedirglielo, ma
trovando i tempi e i modi per stare con loro.
«Quanti
pani avete? Andate a vedere».
E accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci».
E accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci».
[Mc
6,38]
Ma non
abbiamo persone disposte a stare in cortile o non in grado di far
fronte a certi atteggiamenti di prepotenza dei ragazzi, direte. Ma
ogni comunità (e comprendo anche l'unità pastorale che fino ad ora
forse si è sentita non interpellata) ha in sé almeno cinque pani e
due pesci. Che se universitari, alcuni adulti, magari allenatori
dessero un'ora al mese di turno sul cortile avremmo non solo luoghi
più tranquilli ma addirittura quel deserto si trasformerebbe in
campi. Non possono essere sempre i soliti educatori (non mi riferisco
prettamente a me) a fare tutto! Abbiamo bisogno di gente che ci creda
che educare oggi non solo è possibile ma è una delle missioni più
importanti che il Vangelo ci consegna oggi.
“La
messe è abbondante ma gli operai sono pochi”.
Abbiamo
bisogno al più presto di pastori operai.
Ciri
ciri46@hotmail.it
lunedì 9 ottobre 2017
Progetto "Oratori Invernali" al via
Da oggi, lunedì 9 ottobre 2017, fino a venerdì 18 maggio 2018 riaprono gli oratori della nostra UP coprendo tutta la settimana con aperture differenti per ciascuno di essi, dal lunedì al venerdì, come si può notare dallo schema riportato più in fondo.
L'intendo dello stile educativo dell'oratorio feriale è quello di vivere il quotidiano dei ragazzi coi ragazzi (dai bambini delle elementari ai giovani delle superiori), far in modo di vivere veramente che "il Regno dei Cieli è vicino". L'oratorio vuole accorciare le distanze così come faceva Gesù, nell'informalità, nei ritmi della vita di tutti i giorni: generare incontri positivi che fanno crescere e pongono domande per crescere in umanità e in spiritualità.
Chiaramente tutti ciò avviene là dove educatori che vivono da discepoli dedicano parte del loro tempo libero per stare coi ragazzi. Nei nostri ritmi giornalieri da adulti spesso pensiamo solamente in ottica di funzionalità, utilità e risultati mentre invece troppo spesso ci scordiamo che per educare occorre stare. Stare a fare due chiacchiere, stare a fare i compiti coi ragazzi, stare a perdere tempo per fare per la terza volta di fila le squadre nel campetto, stare ad aiutare il dialogo fra due che litigano, stare in ascolto di come è passata la settimana scorsa, di come vanno le cose a casa, ...
Da oggi riprendiamo questo cammino che vede protagonisti anche molti animatori e adulti desiderosi di prendersi cura dei più piccoli, come il Vangelo di oggi (il buon samaritano) ci chiede di essere.
Certo avremmo bisogno di qualche mano e qualche testa in più per cui ti chiedo se anche tu hai almeno un'ora al mese da mettere al servizio e se così fosse non esitare a chiamarmi (3348593000) o scrivermi (ciri46@hotmail.it)
Ciri
L'intendo dello stile educativo dell'oratorio feriale è quello di vivere il quotidiano dei ragazzi coi ragazzi (dai bambini delle elementari ai giovani delle superiori), far in modo di vivere veramente che "il Regno dei Cieli è vicino". L'oratorio vuole accorciare le distanze così come faceva Gesù, nell'informalità, nei ritmi della vita di tutti i giorni: generare incontri positivi che fanno crescere e pongono domande per crescere in umanità e in spiritualità.
Chiaramente tutti ciò avviene là dove educatori che vivono da discepoli dedicano parte del loro tempo libero per stare coi ragazzi. Nei nostri ritmi giornalieri da adulti spesso pensiamo solamente in ottica di funzionalità, utilità e risultati mentre invece troppo spesso ci scordiamo che per educare occorre stare. Stare a fare due chiacchiere, stare a fare i compiti coi ragazzi, stare a perdere tempo per fare per la terza volta di fila le squadre nel campetto, stare ad aiutare il dialogo fra due che litigano, stare in ascolto di come è passata la settimana scorsa, di come vanno le cose a casa, ...
Da oggi riprendiamo questo cammino che vede protagonisti anche molti animatori e adulti desiderosi di prendersi cura dei più piccoli, come il Vangelo di oggi (il buon samaritano) ci chiede di essere.
Certo avremmo bisogno di qualche mano e qualche testa in più per cui ti chiedo se anche tu hai almeno un'ora al mese da mettere al servizio e se così fosse non esitare a chiamarmi (3348593000) o scrivermi (ciri46@hotmail.it)
Ciri
martedì 3 ottobre 2017
Sinodo - the day after
Mentre scrivo ripenso a quanto abbiamo vissuto in questi
giorni e mi chiedo che significato abbia. La stessa domanda che il giorno di
Pentecoste si fa qualche ebreo quando sente gli apostoli annunciare le grandi
opere di Dio in ogni lingua: “che significa?”
Dare significati a quanto ci capita è uno dei passi
fondamentale del crescere: quando l’esperienza diventa sapienza. Ogni fatto che
accade può essere interpretato in mille maniera mi hanno insegnato alla Scuola
di Teologia Diocesana. È chiedersi cosa è successo, è ripercorrere quando
accaduto, è dare un nome agli stati d’animo, ai sogni e alle paure che ci hanno
abitato durante le nostre discussioni (e in pausa caffè).
Dal mio punto di vista è certamente stato un evento di
Chiesa innanzitutto. È vero, non c’eravamo tutti e non eravamo nemmeno in
molti, ma eravamo radunati sotto l’azione dello Spirito (più volte invocato) e
con idee, precomprensioni, carismi e stili differenti (oltre alle differenze di
età). In queste diversità siamo riusciti a fare la cosa più difficile:
ascoltarci e tenere tutto insieme senza controbatterci a vicenda. È certamente
stato un cantiere di cantiere di dialogo e di incontri. Le domande (quando mai
superficiali e banali) su cui abbiamo provato a ragionare hanno rinnovato in
noi il desiderio di rimetterci in ricerca. Alla ricerca del Vangelo e dei
giovani. Non chiedendoci come “addomesticare i ragazzi”, ma come essi stessi
possano darci delle idee, costruire qualcosa di nuovo, essere evangelizzatori
oltre che ricettori dell’annuncio.
Qualcuno alla fine del Sinodo forse si aspettava una
conclusione che sintetizzasse il tutto, magari un Bignami da me realizzato per
portarci a casa qualcosa di tangibile, risposte illuminanti alle domande che ci
siamo posti. Ma, ahimè, non è andata così. La sensazione che ho avuto io (e
penso molti di voi) è stata quella di quando più che concludersi sta per
cominciare qualcosa. Credo che stia per iniziare una seconda stagione per i
nostri oratori: non si pensa più che c’è qualcuno che se ne occupa ma ce ne
sentiamo tutti un po’ più responsabili dei ragazzi che ci ruotano attorno.
Siamo tornati a casi un po’ frastornati forse ma certamente
con il cuore più leggero perché ci siamo ritrovati non soli. Non abbiamo
risolto niente, anzi forse ci siamo fatti anche degli esami di coscienza e di
come essere autentici e affascinanti per le nuove generazioni probabilmente non
lo abbiamo ancora capito. Quello che c’è di nuovo è che fra le risposte che
abbiamo provato a dirci la cosa grande è che ci siamo fatti insieme delle
domande profonde. Ora ci tocca di starci ancora su questi interrogativi e di
azzardare qualche idea da concretizzare.
In questi giorni mi dedicherò alla lettura di tutti i
verbali e alla sintesi di questi per produrre una Carta del Sinodo, una sorta
di linee guida che ci siamo detti in questi giorni. Questo documento dovrà
essere sotto gli occhi di tutti, in particolare di chi si metterà a servizio in
oratorio. È bello condividere un cammino che conduce alla medesima meta e
quelle metà è vivere in Cristo.
Cercheremo, dunque, di non abbassare il tiro tenendo in
mente che l’oratorio prima di essere un luogo è uno stile educativo con cui si
evangelizza, si accompagna nella crescita, si allena a desiderare ogni ragazzo
e giovane che vi troverà famiglia e casa.
Preghiamo e impegniamoci affinché possiamo diventare simili
al Signore, così da stuzzicare nei giovani con cui entreremo in contatto le
parole che disse l’apostolo Giovanni (quando comincio a capire che Gesù
conosceva un segreto) “Maestro, dove abiti?”. “Vieni e vedi!”
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