La settimana scorsa
si è conclusa l’avventura degli oratori del periodo “invernale” apertosi in
ottobre. È stato anche questo un anno ricco di sfide educative a cui le
comunità hanno provato ad accettare in tempi e modi diversi. Siamo riusciti a
vivere bene o male tutti gli oratori dell’unità pastorale, stando attenti alle
differenze sia territoriali, sia sociali, sia di risorse che ciascuno di essi
presenta.
Cortili aperti, accompagnamento
nei compiti, merende condivise, giochi organizzati e non, momenti di
riflessione e di discussione, laboratori sportivi, di cucina, di chitarra, di
meccanico di bici sono state le principali attività che hanno preso vita nei
nostri oratori. Tutto questo è un linguaggio, è uno stile fatto meno di
concetti e più di esperienza, meno di nozioni e più di relazioni. Quasi a dire
che in oratorio conta cosa si da ma ancor di più il come lo si fa. D’altronde
anche Gesù nel suo comandamento finale ha lasciato un come: “Amatevi come io ho
amato voi”. Ed è questo benedetto “come” che irrompe nella quotidianità dei
ragazzi dell’oratorio e senza dire parole parla lingue nuove, che raggiungono e
scaldano il cuore.
Per intenderci
meglio proviamo a vedere il gioco al contrario. Si possono aprire i cortili ma
non accogliere come accoglie Gesù; si possono far fare i compiti a ragazzini ma
senza l’accompagnamento che inventerebbe Gesù; si possono mangiare le merendine
ma senza lo stile di condivisione di Gesù;
si possono organizzare i più bei giochi del mondo ma senza quello stare
in mezzo ai ragazzi che contraddistinguerebbe la presenza di Gesù.
Viceversa, avendo
sempre il Maestro come modello allora ogni attività potrà far trasudare in
maniera discreta e umile (perché Dio è discreto e umile) dell’amore del
Signore, della sua prossimità nella ferialità. Spesso siamo troppo convinti che
per far qualcosa di significativo occorrano i grandi eventi: non è vero. Lo
dico e lo ripeto: nelle vite (in particolare di chi è nell’età dello sviluppo)
incide molto di più il solito lampione acceso che mi permette di infilare la
chiave di casa nella serratura quando fa buio piuttosto che i riflettori di un
concerto. Questi ultimi sono bellissimi e fanno sognare ma sono a tempo
determinato: prima o poi tu sai benissimo che smetteranno di illuminarti. Il
solito lampione della solita strada è certamente meno entusiasmante, meno
abbagliante ma ha la caratteristica del per sempre, tanto che la volta in cui
viene a mancare la corrente non te lo aspettavi ed è lì forse che capisci
quante volte è stato fedele al suo umile impegno.
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