martedì 22 maggio 2018

Oratori invernali: un anno di cammino


La settimana scorsa si è conclusa l’avventura degli oratori del periodo “invernale” apertosi in ottobre. È stato anche questo un anno ricco di sfide educative a cui le comunità hanno provato ad accettare in tempi e modi diversi. Siamo riusciti a vivere bene o male tutti gli oratori dell’unità pastorale, stando attenti alle differenze sia territoriali, sia sociali, sia di risorse che ciascuno di essi presenta.
Cortili aperti, accompagnamento nei compiti, merende condivise, giochi organizzati e non, momenti di riflessione e di discussione, laboratori sportivi, di cucina, di chitarra, di meccanico di bici sono state le principali attività che hanno preso vita nei nostri oratori. Tutto questo è un linguaggio, è uno stile fatto meno di concetti e più di esperienza, meno di nozioni e più di relazioni. Quasi a dire che in oratorio conta cosa si da ma ancor di più il come lo si fa. D’altronde anche Gesù nel suo comandamento finale ha lasciato un come: “Amatevi come io ho amato voi”. Ed è questo benedetto “come” che irrompe nella quotidianità dei ragazzi dell’oratorio e senza dire parole parla lingue nuove, che raggiungono e scaldano il cuore.
Per intenderci meglio proviamo a vedere il gioco al contrario. Si possono aprire i cortili ma non accogliere come accoglie Gesù; si possono far fare i compiti a ragazzini ma senza l’accompagnamento che inventerebbe Gesù; si possono mangiare le merendine ma senza lo stile di condivisione di Gesù;  si possono organizzare i più bei giochi del mondo ma senza quello stare in mezzo ai ragazzi che contraddistinguerebbe la presenza di Gesù.

Viceversa, avendo sempre il Maestro come modello allora ogni attività potrà far trasudare in maniera discreta e umile (perché Dio è discreto e umile) dell’amore del Signore, della sua prossimità nella ferialità. Spesso siamo troppo convinti che per far qualcosa di significativo occorrano i grandi eventi: non è vero. Lo dico e lo ripeto: nelle vite (in particolare di chi è nell’età dello sviluppo) incide molto di più il solito lampione acceso che mi permette di infilare la chiave di casa nella serratura quando fa buio piuttosto che i riflettori di un concerto. Questi ultimi sono bellissimi e fanno sognare ma sono a tempo determinato: prima o poi tu sai benissimo che smetteranno di illuminarti. Il solito lampione della solita strada è certamente meno entusiasmante, meno abbagliante ma ha la caratteristica del per sempre, tanto che la volta in cui viene a mancare la corrente non te lo aspettavi ed è lì forse che capisci quante volte è stato fedele al suo umile impegno.

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