Cari amici,
la scorsa settimana, e precisamente giovedì 31 gennaio, si è ricordata la memoria di san Giovanni Bosco, padre, maestro e amico dei giovani come i salesiani lo definiscono e a buona ragione. Bene l'idea era che nei nostri oratori si vivesse una settimana dedicata a questo santo ma a parte sabato 26 gennaio in cui sono state fatte delle feste a Regina Pacis e a San Bartolomeo, gli altri giorni a venire non si è riuscito a fare nulla perché il sottoscritto era malato. Pertanto la settimana è stata rinviata a questa ma non credo che a don Bosco dispiaccia troppo avere una settimana extra di festa.
Premesso che ogni pomeriggio di oratorio noi cerchiamo di rivivere (seppur contestualizzato nel nostro tempo e nei nostri spazi) lo stile di Giovanni Bosco, in questa settimana ci impegniamo a immergerci di più nel suo spirito, partendo dagli aneddoti più importanti della sua storia. Per fare questo utilizzeremo diversi linguaggi, come lo stile oratoriano insegna: racconti orali, balli e bans, attività e giochi che ci faranno conoscere meglio questa figura educativa straordinaria.
Straordinaria perché? Perché ha saputo vedere compiersi il regno dei Cieli sotto una tettoia e dentro un cortile, stando gomito a gomito con tanto ragazzi poveri e soli. Soli perché se non erano orfani erano stati mandati in città a trovare lavoro, lasciando i genitori al paese. Poveri perché non tutti trovavano da lavorare e quelli che lo trovavano erano pagati una miseria per stare in condizioni igieniche e sanitarie molto ma molto precarie.
Come fa ad accorgersene don Bosco? Beh, bisogna sapere che Giovanni non appena diventato prete chiede al suo padre spirituale, don Cafasso (uomo saggio e dal cuore magnanimo), di indicargli cosa fare: "Vai in città e guardati intorno" gli risponde la guida. E don Bosco così fa. Gira per Torino dove avrebbe potuto vedere dei bei corsi, straordinari palazzi, carrozze signorili eppure dove si soffermano i suoi occhi? Su tanti ragazzi ai margini della strada, scartati dalla società, lasciti andare come mele marce. Ecco dove nasce probabilmente l'oratorio: da uno sguardo che si sofferma sulle piccole cose di tutti i giorni e da un cuore che non riesce a cancellarne la speranza cambiare questi destini che sembrano già segnati. Cosa mancava più di tutto a quei giovani? Qualcuno che si prendesse cura di lui, che li aiutasse a prendere in mano la propria vita, a cercare il Signore anche nei luoghi più dimenticati.
Ecco che da quel giro in città don Bosco comincia a girare per i cantieri di lavoro e farsi amico dei ragazzi, comincia a visitare il carcere minorile per farsi padre di molti disperati, comincia a invitare analfabeti di italiano e di spirito a venire a trovarlo alla domenica per insegnare un po' di catechismo, fare merenda insieme e giocare.
Altro episodio fondamentale della nascita dell'oratorio è l'incontro con Bartolomeo Garelli, un ragazzo di quelli di cui vi parlavo prima, intercettato dalla scopa del sagrestano mentre stavo rubando qualcosa da mangiare dalla dispensa della parrocchia. Don Bosco, che aveva assistito alla fine di questa scena mentre si preparava a dire messa, fa chiamare quel "delinquente" e fa amicizia con lui. Bartolomeo da intimorito che era per la paura di ricevere una sontuosa sgridata fa la conoscenza di qualcuno che senza sapere nulla su di lui lo chiama "amico". Giovanni chiede a Bartolomeo cosa sapesse del catechismo ma niente; cosa sapesse fare ma niente... "Sai fischiare?", "Beh certo padre, almeno questo lo so fare". Ecco un altro scacco per far cominciare l'oratorio: partire sempre dalle risorse di ciascuno anche se dovesse solamente essere un saper fischiettare. Educare attraverso lo stile oratoriano significa aprire dei cammini e accompagnarli senza paura di dover avere dei risultati istantanei. D'altronde chi è a servizio nel campo dell'educazione sa bene che chi educa, chi evangelizza getta un seme e se ne prende cura, non sapendo i tempi in cui esso germoglierà e probabilmente senza vederne a pieno i frutti.
Tante cosa si potrebbero dire su Giovanni Bosco ma per ora mi limito a queste. Concludo solo dicendo che quando ieri ho chiesto ai ragazzi dell'oratorio cosa facesse don Bosco all'oratorio essi mi hanno risposto: "Pregavano, studiavano, giocavano e facevano merenda"; e quando gli ho chiesto cosa facciamo noi in oratorio hanno risposto: "Preghiamo, studiamo, giochiamo e facciamo merenda". Allora ho risposto loro che effettivamente è così anche se a onor del vero allora si pregavamo molto di più perché erano tutti cristiani mentre oggi la nostra preghiera ci permette di avvicinarci ma soprattutto nella misura in cui quella diventa una preghiera vivente attraverso ciascuno di noi.
Sapete non è facile parlare di Dio a ragazzi provenienti da religioni diverse ma questo è possibile e a loro piace: vale la pena trovare i linguaggi giusti e mettersi in ascolto. Abbiamo la missione che ci bussa in casa: cosa faremo? Apriamo o respingiamo?
Buona settimana-extra di don Bosco a tutti!!